Innovazione che paga

Il sistema internettiano dell’innovazione sta sviluppando, tra gli altri, un metodo indicibile ma praticamente efficiente per concentrare le sue risorse sugli obiettivi a maggior probabilità di successo. E uno dei suoi elementi costitutivi è l’idea di individuare un grande settore caratterizzato da forti rendite di posizione e attaccarlo massicciamente per disintermediarlo. Se individua un nuovo settore del genere, fioriscono startup che vengono fianziate abbondantemente fino a che una di queste non riesce a conquistare posizioni sul mercato e a impensierire gli operatori tradizionali. È accaduto all’editoria e alla pubblicità, al commercio e alla logistica, ai trasporti e al turismo, e così via. Oggi, a quanto pare, è il turno dei servizi finanziari e bancari.
Nei sistemi di pagamento, per esempio, le forme sperimentali di innovazione si moltiplicano, dalle più radicali come i bitcoin e le monete complementari, alle più evolutive, come le soluzioni di digitalizzazione delle carte di credito, proposti per esempio da Apple. In mezzo c’è di tutto.
La 2Pay è solo un esempio (e come i lettori di Nòva sanno, ce ne sono molti altri che l’inserto ha seguito nel tempo). Il suo pregio principale è la semplicità di utilizzo: una app consente di pagare ed essere pagati, utilizzando un codice iban generato dalla app che in pratica gestisce un conto prepagato sul quale scaricare o nel quale caricare il denaro da utilizzare all’interno del circuito 2Pay. Nata nel Veneto da imprenditori fuoriusciti dal settore finanziario, l’azienda ha bisogno di vincere al grande gioco dell’installazione da parte dei compratori e dei venditori: cioè il solito problema delle tecnologie di rete, che acquistano un valore che cresce a ritmo geometrico in relazione al numero di utilizzatori. La sua storia è tutta da scrivere. Ma dimostra che la disintermediazione delle carte di credito non è tecnicamente impossibile.
Articolo pubblicato su Nòva domenica 12 aprile