Digital officer: la prova del nome

Diego Piacentini è il Commissario straordinario del governo per il digitale e l’innovazione. Pro bono. Comincia il 17 agosto. Il governo ha detto solo questo. Ma la notizia è grossa e molti si domandano che cosa farà il senior  vice president di Amazon, in aspettativa per due anni, per dare una mano al suo paese da Palazzo Chigi. Fino al decreto che espliciterà i suoi compiti, previsto in uscita tra una settimana o forse due, il suo paese sarà assordato da un brusio, fatto di illazioni, pettegolezzi, fanfaronate, espressioni di cinismo, adulazioni e tutto il solito armamentario del sottobosco digitale che, in materia, non è particolarmente innovativo. Dopo il decreto – quando si scoprirà che Agid, Consip, Sogei, uffici digitali dei ministeri, in house pubbliche, tavoli e comitati, cioè tutta la governance del digitale, dovrà riportare a Piacentini – le persone di buona volontà si prepareranno al cambio di passo, mentre il brusio si trasferirà sui fuochi di sbarramento e all’ombra dei muri di gomma. A fine agosto, i sacerdoti dell’esistente si recheranno in processione al cospetto del commissario pensando di garantirsi la sua benevolenza. E il brusio aumenterà quando si scoprirà che Piacentini non andrà a un convegno alla settimana e non rilascerà interviste su ogni aspetto dello scibile. La sua storia è chiara e spiega che cosa vuole fare: il sistema digitale pubblico non è un insieme di pezzi di software che automatizzano le funzioni della burocrazia una alla volta: è una piattaforma che abilita gli innovatori, rende la vita più facile a cittadini e imprese, fa risparmiare lo stato; progetto da realizzare con una squadra di persone eccellenti, su temi come datacenter, interfacce, big data e così via. Senza cercare il consenso di chi gioca per sé e non per i cittadini. Comunicando i fatti e non le intenzioni. Insomma, la tappa romana di Piacentini rischia di essere interessante. Potrebbe non essere l’ennesima replica della commedia all’italiana. Se il governo che lo ha chiamato lo lasciasse in condizioni meno che operative, invece, la cosa finirebbe in una brutta figura. Sarebbe un peccato.
Articolo pubblicato su Nòva il 14 febbraio 2016
ps. Intanto ci si domanda se, per arrivare a un’architettura moderna della p.a. digitale, sia più logico pensare a una strategia di aggiustamento progressivo dell’esistente o immaginare di fare tutto nuovo… (non è così facile rispondere).