Venezia inclusiva per un rilancio possibile

Nell’economia della conoscenza, l’ecosistema dell’innovazione non è un concetto astratto: è il luogo – generatore di senso, collaborazione, competizione – che attrae talenti e capitali, nel quale si sintetizzano le risorse del territorio, della sua storia, della sua prospettiva. Una sterminata letteratura si interroga e propone ipotesi su ciò che spiega l’emergere di un ecosistema dell’innovazione. Sappiamo che la presenza di università creative, aziende ricche, finanza al servizio dell’economia reale sono precondizioni favorevoli. Ma ci sono anche caratteri di stampo sistemico-culturale. La connessione, l’apertura, la qualità delle relazioni civiche fanno la differenza tra una comunità capace di alimentare un ecosistema dell’innovazione e una popolazione che resta bloccata nel suo passato senza trasformare la tradizione in una risorsa. Venezia è il più grande esempio di come una città fiorente possa rischiare di sfiorire. La millenaria capitale della connessione mediterranea, con la sua civiltà aperta, cosmopolita e tollerante – anche se, nell’età moderna, persino troppo gelosa dei suoi segreti industriali e della fedeltà dei suoi cittadini – si è fermata nell’Ottocento per diventare nel secondo Dopoguerra novecentesco un attivo polo industriale. Ma oggi, se non fosse per la Biennale, Ca’ Foscari, i poli della ricerca e altre iniziative visionarie, è un arcipelago ripiegato sulla rendita di posizione turistica, separato dal suo entroterra imprenditoriale. Il suo spopolamento è una tragedia demografica, storica e civica. L’economia della conoscenza sarebbe il contesto ideale per una città come Venezia – più adatta a quest’epoca che a quella della grande industria – per rientrare nella mappa dell’innovazione con un ecosistema unico per le filiere culturali globali: ma ce la fa se si apre e sviluppa una strategia inclusiva. Come dimostra lo studio “The Productivity-Inclusiveness Nexus” dell’Ocse, l’inclusione è una dinamica necessaria per valorizzare l’innovazione: la separazione e la rendita condannano all’arretratezza.
Articolo pubblicato su Nòva il 27 luglio 2016