Lettere sull'innovazione: un approccio storico alla tecnologia

Gentile De Biase, leggendo le sue risposte ai lettori sul Sole del 29 aprile non posso fare a meno di pensare che il mondo è strano: lo stesso evento può essere interpretato in modo diverso se non opposto. Basti pensare al XVIII secolo, quando Adam Smith vedeva nella tecnologia un formidabile aiuto per l’uomo e pensava che gli avrebbe consentito di lavorare meno, ottenendo gli stessi risultati produttivi. Ma nello stesso tempo emergeva la figura di Ned Ludd che in contrapposizione con quanto sosteneva Adam Smith condannava l’uso delle macchine perché a suo modo di vedere avrebbero tolto il lavoro agli uomini. Dopo quasi tre secoli siamo al punto di partenza, ma forse avevano ragione tutti e due. La tecnologia ha consentito all’umanità di svolgere le mansioni lavorative a tutti i livelli con meno difficoltà, tant’è che viviamo più a lungo e meglio, e rispetto al loro tempo i livelli occupazionali sono nettamente superiori. Certamente la tecnologia può creare problemi occupazionali, ma penso anche ai lavori pericolosi per la salute che ora vengono svolti tramite una tecnologia sofisticata, penso alla possibilità da parte di chirurghi di intervenire da chilometri di distanza tramite sofisticatissimi computer: allora c’è tecnologia e tecnologia! Il mondo, comunque la pensiamo, va avanti, tecnologia, globalizzazione, migrazione di grandi masse di persone, sono fenomeni irreversibili. Troviamo nuovi pianeti volgendo lo sguardo oltre l’universo e non vediamo quello che ci circonda. Dobbiamo prendere atto che oggi le cose cambiano a una velocità vicina a quella della luce, mentre nel XVIII secolo i tempi erano molti più lunghi e forse erano più agevolati a metabolizzare il “Nuovo”, ma in fondo ci poniamo gli stessi quesiti.
Marco Nagni
Caro Nagni,
anch’i o penso che per interpretare il futuro della tecnologia sia fruttuoso, paradossalmente, adottare un approccio storico, soprattutto in una prospettiva orientata alla lunga durata, nel senso proposto dallo storico francese Fernand Braudel. Ebbene, le domande – preoccupate – che gli umani non cessano di porsi intorno alle loro tecnologie non sono altro che altrettanti modi per interrogarsi intorno a se stessi. Perché se c’è un equivoco da sciogliere è quello di ritenere che gli umani e le macchine siano entità distinte e contrapposte. In realtà, le macchine sono espressione della traiettoria evolutiva degli umani. E per questo gli umani sono gli unici responsabili delle conseguenze generate dalle loro macchine. A queste devono pensare quando le progettano.
Consapevolezza nell’innovazione
In un’Italia ancorata al passato, dove si rimpiangono i miracoli economici degli anni 60 e 80 del ’900, manca una reale consapevolezza del presente. L’innovazione tecnologica è ancora vista come il frutto dell’invenzione creativa dei singoli. Ci affidiamo alla nostra proverbiale creatività, ma questo è più un atto di fede che un progetto vero e proprio. In realtà, la tecnologia è un tentativo di potenziamento delle nostre facoltà necessario per affrontare le nostre sfide quotidiane. In questo senso, l’innovazione non è mai un colpo di genio, ma la risposta inconscia a uno stimolo sociale. Acquisire consapevolezza di questo processo ci permette di gestirlo, di potenziarlo e di non esserne schiavi. L’automazione, ad esempio. È un processo iniziato molto prima di quando si possa pensare, ma solo adesso ne valutiamo gli effetti, quando ormai sono quasi completamente davanti ai nostri occhi. L’Italia, nella robotica, è all’avanguardia. Se fosse all’avanguardia anche nella consapevolezza dell’essenza della tecnologia, ci sarebbero tutti gli elementi per uno sviluppo sano, significativo, sostenibile.
Stefano Nicoletti
Coach formatore consulente
Lettere pubblicate sul Sole 24 Ore il 6 maggio 2017