Lettere sull'innovazione. Blockchain senza integralismi

Gentile De Biase
Nell’articolo di domenica, inserto Nòva, dal titolo “Tutto il potere viene affidato al codice“, su blockchain, si fanno una serie di affermazioni che mi suscitano dubbi.
Pongo due quesiti a chi ne sa più di me.
Faccio e procedo per esempi, per essere più comprensibile.
Primo, se il venditore è incapace, sono presenti vizi del consenso, ecc.. oggi, la presenza fisica di un soggetto terzo, in certi casi, non in tutti, dà garanzie sul punto, tipo se c’è stata o no, per usare un linguaggio giuridico, esercizio di un po’ violenza, errore ecc…
Dopo come si accerteranno questi fatti? Oggi trascorsi 5 anni dalla trascrizione, un atto di vendita immobiliare fa si che chi riacquista un bene, essendo in buona fede, sta tranquillo per vizi precedenti. Si tutela così l’affidamento e si sviluppano i traffici.
In futuro, trascorsi 5 anni, l’atto informatico “trascritto“ su blockchain, senza intermediari che abbiano accertato lo stato psicologico dei contraenti, permetterà che un c.d. acquirente di buona fede acquisti il bene da un venditore che si era approfittato dello stato o del vizio di capacità del suo avente causa? Se la risposta fosse affermativa, si perpetuerebbe un precedente abuso.
Seconda domanda per riprendere l’articolo.
Si stabilisce una penale ed essa opera automaticamente in base ad un algoritmo quando si verifica un evento, senza bisogno di altro, nemmeno giudice.
Ma se, giusto o sbagliato che sia, si ammette che un giudice possa ridurre l’entità della penale sulla base di una serie di considerazioni magari sociali, oppure perché una parte si è approfittata di un‘altra oppure perché il rapporto era sbilanciato (uno un contadino e l’altro un riccone e ingegnere informatico, cioè una sorta di un misto da Gates e Einstein, ma il contadino ha comunque diritti), come si arriva a ridurre la penale se non c’è un giudice che fa queste valutazioni?
Io posso pensare che la volontà delle parti non deve essere mai modificata, che l’assetto da loro dato anche se sbilanciato deve essere intangibile perché ritenuto da loro razionale, ma c’è chi la pensa diversamente. Sia perché dice che l’agire razionale non esiste (economia comportamentale), che esistono bias, cioè distorsioni della volontà per i quali uno pensa di agire nel modo più razionale e invece non è così. Ma se anche l’agire in modo razionale esistesse c’è chi dice che potrebbe non essere giusto e perciò la penale deve essere modificata.
Perciò come si interviene se un terzo acquista in buona fede, non potendo accertare lo stato psicologico del precedente avente causa? Perciò blockchain serve solo ad affermare che è avvenuto un contratto? Ma questo almeno per certi beni questo fatto è già certo. Il sistema non serve a dare certezze sullo stato psicologico dei contraenti e cioè per questo aspetto non elimina gli intermediari. Se interviene un giudice il contratto non è autoesecutivo: cioè sempre da un giudice con le regole di competenza e giurisdizionali bisogna andare che servono ad assicurare l’affidabilità del soggetto che giudica.
Cioè il sistema non serve per dare garanzie sul contenuto, come prima non serviva per lo stato psicologico. Per questi due aspetti occorrono degli intermediari chiamali giudici, notai, avvocati o birilli. E ho fatto due semplici quesiti ed esempi: uno sulla legittimazione e l’altro sul contenuto contrattuale.
Bisogna ricordarsi che motto latino “ubi homo, ibi societas. Ubi societas, ibi jus. Ergo ubi homo, ibi jus”. Perciò il diritto è legato ad un uomo non ad un algoritmo
Cari saluti
Francesco Felis
Gentile Felis
il notaio Daniele Minussi, intervistato per l’articolo, dice che la blockchain può essere utile a far rispettare un accordo che contiene una logica di auto-esecuzione rendendo per questi casi inutile il ricorso a notai o altri intermediari. Non mi pare che generalizzi oltre il limite che lei teme sia superato. Minussi peraltro avverte che il ricorso a questo sistema non garantisce che i contraenti comprendano il contratto sul quale si stanno accordando e quindi non elimina la necessità di ricorrere a esperti per comprenderlo. D’altra parte, il fatto che una tecnologia renda possibile una soluzione che per esempio disintermedia una categoria non significa che poi una società la adotti veramente. Vuole un esempio? Che piaccia o no Uber, si può dire che l’Italia ha sostanzialmente rifiutato una tecnologia che disintermediava il servizio di trasporto urbano oggi offerto dai taxi. Lo stesso si può fare con la blockchain adattata agli “smart contract”. Ma la valutazione va fatta in modo attento a tutte le conseguenze. Uber offre una tecnologia proprietaria. Blockchain è anche open source.
Rubrica pubblicata sul Sole 24 Ore l’11 novembre 2017