Italia, laboratorio di AI

La distinzione tra novità e innovazione è una fondamentale attività critica nel mondo delle tecnologie. Vista in chiave dinamica serve a distinguere le tecnologie che si limitano a conquistare l’attenzione da quelle che invece avranno effettivamente un impatto. Secondo una recente versione della “curva del clamore” (hype cycle) che Gartner dedica alle tecnologie emergenti “deep learning” e “machine learning” – gli aspetti più operativi del più vasto ambito dell’intelligenza artificiale – sono giunti al culmine della prima parte del ciclo: a questo punto non possono più conquistare altra attenzione, ma devono semplicemente dimostrare se sono davvero utili o no. Gli investimenti in queste tecnologie sono arrivati a una decina di miliardi nel mondo negli ultimi quattro anni e i ricavi attesi da applicazioni aziendali nel mercato mondiale potrebbero arrivare a una trentina di miliardi per il 2025, secondo i dati raccolti da Statista. Si va dalla manutenzione predittiva nelle manifatture al riconoscimento delle immagini, dal trading algoritmico in finanza alla localizzazione, dalla diagnostica in medicina alla cybersicurezza. In Italia, dice GapGemini, quasi la metà delle grandi imprese ha progetti di intelligenza artificiale, più che in Germania. Ci sono 18 università che si occupano di queste tecnologie e nei prossimi due anni prepareranno circa 4mila ingegneri capaci di affrontare temi legati all’intelligenza artificiale. Qualunque organizzazione che accede a grandi masse di dati può sviluppare applicazioni a base di intelligenza artificiale. È con questo spirito che nasce, a Bologna, Artificial Intelligence Labs. Investitori istituzionali, partner tecnici come Huawei e un team di fondatori di provata esperienza come Max Ciociola, Gianluca delli Carri e Andrea Gaudenzi, con il supporto finanziario che troveranno in rete con una campagna su Mamacrowd che partirà entro fine novembre, sostengono le spese di un nuovo centro di ricerca che parte con una decina di ingegneri specializzati che vengono dalle università italiane per realizzare applicazioni dell’intelligenza artificiale che poi troveranno un loro sviluppo sul mercato, nella forma di progetti finanziati in collaborazione con altre organizzazioni o di vere e proprie startup. Il laboratorio si sosterrà nel tempo con l’equity che potrà avere dei progetti che trovano la via del mercato. Intanto a Roma è nata la scuola di intelligenza artificiale al Pi Campus fondato da Marco Trombetti che a sua volta si propone di affrontare il tema della progettualità concreta di applicazioni di intelligenza artificiale. Del resto, LVenture ha lanciato un programma di incubazione dedicato a startup che si occupano di intelligenza artificiale. Anche grazie a queste iniziative, molto diverse tra loro, il trasferimento delle conoscenze tecniche al mercato può alimentare gli investimenti e le iniziative necessari a consentire all’Italia di cogliere le opportunità offerte da questa tecnologia e non diventarne soltanto fruitore passivo.
Articolo pubblicato su Nòva il 12 novembre 2017