Lettere sull'innovazione. Strategie di lungo termine e conoscenza

Caro De Biase,
spesso si riflette poco su Industria 4.0 e su che opportunità strategica sia per il “capitale umano”. Partiamo da un presupposto: questa nuova rivoluzione industriale a mio parere non toglierà lavoro, ma contribuirà a riqualificare le risorse che in molti casi non svolgeranno più azioni semplici e ripetitive, ma useranno “tecnologia” e gestiranno “big data”.
Il capitale umano assumerà quindi un ruolo più centrale con nuove competenze.
Il problema è che ci sono i soldi e gli incentivi del Governo, c’è il taglio dell’Ires e dell’Irap, la detassazione dei premi di produttività e nel 2018 è previsto ancora tanto altro, ma forse non ci sono le competenze tecnologiche (e sicuramente mancano anche quelle trasversali). Quindi si genera “mismatch” ovvero il paradosso che in un periodo di alta disoccupazione, le imprese cerchino ma non trovino quelle professionalità di cui necessitano.
La scuola e l’università avranno un ruolo importante per costruire le competenze che mancano. Ma poi sarà necessario che il mondo della scuola e del lavoro “dialoghino” con l’alternanza scuola/lavoro e l’apprendistato.
Le aziende dovranno rivedere le loro strategie di “attraction”, i loro iter selettivi e i piani formativi. Serviranno seri programmi di riqualificazione e di rafforzamento delle competenze.
Dobbiamo infine chiederci se all’interno delle aziende ci sia chi ha competenze di leadership per guidare questa profonda rivoluzione: una persona che sia capace di far dialogare gli innovatori e sfruttare gli input creativi delle risorse in azienda, capace di dialogare con il mercato e con gli stakeholder esterni, intercettare e anticipare i bisogni dei clienti e capace di creare engagement all’interno dell’azienda. Un leader che dovrà gestire risorse ma anche rivoluzionare agevolmente le tecnologie dell’impresa per sopravvivere in un mercato che cambia alla velocità della luce. Ci sarà da divertirsi, se e solo se si riusciranno a cogliere le opportunità offerte da Industria 4.0.
Ma purtroppo quello che noto è che ci sono sempre più aziende i cui azionisti si concentrano su profitti istantanei, manager che si concentrano su bonus a breve termine e clienti che vogliono un prodotto sempre migliore ad un prezzo più basso.
Lei che ne pensa?
Andrea Zirilli
Roma
Caro Zirilli
Ho l’impressione che il tempo della concentrazione sul breve termine si sia concluso. Poteva essere appagante quando una certa interpretazione autoreferenziale della finanza favoriva l’indebitamento generalizzato. Ma è chiaro che la crisi del 2007 ha messo una grossa pietra sopra quell’epoca. Questo non significa che tutti i manager e i capi azienda abbiano smesso di praticarlo. Questo li distrae dalla questione più importante: come guidare la trasformazione aziendale nel quadro dell’economia della conoscenza. Che non è un compito per il breve termine, ma un compito fondativo per una grande strategia di lungo termine. Le aziende che non si trasformano rischiano di essere trasformate, diventando irrilevanti.
Caro De Biase
Il problema credo debba essere affrontato per punti rispondendo ad alcune domande che personalmente mi pongo ed alle quali non so dare risposta.
Ma veramente a vostro parere la soluzione può essere trovata attraverso attraverso politiche condivise ed unanimistiche ?
Quando per contro assistiamo sempre agli stessi annosi problemi ?
1 mancanza totale di strategia da parte della classe dirigente;
2 totale deresponsabilizzazione a tutti i livelli;
3 rifiuto delle leadership;
4 visione d’azione di brevissimo respiro
Perché questa dinamica si perpetua ?
Quali sono i “lacci e lacciuoli” che impediscono il cambiamento culturale e sociale ?
Il metodo è sempre quello della SWAT ANALYSIS. Punti di forza, di debolezza, opportunità e rischi, avendo come obiettivo la migliore società 4.0
Dobbiamo avere più coraggio, cercando di eliminare punto per punto, ogni punto di debolezza, evitando allo stesso modo ricercare soluzioni rapide, indolori, onnicomprensive. La società non è un grosso Mainframe.
Cordialità
Sebastiano Arillotta
Rubrica pubblicata sul Sole 24 Ore il 25 novembre 2017