Il cio cambia mestiere: tecnologia è cultura

La sintesi è chiara. La trasformazione del mestiere di chi si occupa della tecnologia in azienda, a partire dal chief information officer (cio), riguarda soprattutto l’assunzione di un nuovo approccio: la concentrazione non è più soltanto sulla messa in opera delle tecnologie più adatte a realizzare i processi richiesti dall’azienda, ma sulla preparazione ad affrontare il cambiamento continuo. Ed è un problema, nello stesso tempo, tecnico e filosofico. Lo ha dimostrato in modo palpabile il programma dei lavori del recentissimo Garner Symposium, a Barcellona: una conferenza alla quale hanno partecipato circa 6mila cio, organizzata da Gartner, azienda che fattura circa un miliardo al trimetre prevalentemente servendo con le sue ricerche proprio il mondo dei cio. Ebbene: che cosa stanno imparando a fare i cio? Da almeno cinque anni, Gartner rispondeva riferendosi all’idea che i cio fossero gli abilitatori del “digital business”. Oggi propone una nuova chiave di lettura: i cio lavorano per consentire all’azienda di crescere in un contesto che si può definire soltanto come un “ContinuousNEXT”. Il problema che i cio affrontano è quello di interpretare il cambiamento attuale, immaginare la prossima trasformazione, preparare l’azienda all’impatto di ulteriori innovazioni. E Mike Harris, il responsabile globale delle ricerche di Gartner ha sottolineato il fatto che in questa nuova formula, non ci sia una parola che richiama specificatamente una particolare tecnologia. Segno che il tema del digitale, ormai dato per scontato, si confronta non soltanto con le sue ulteriori mutazioni, a partire da quelle consentite dall’intelligenza artificiale, ma anche con le spinte che vengono da altre discipline, come le nanotecnologie, le biotecnologie, le neuroscienze. E per l’appunto il tema non è che i cio debbano diventare “specialisti di tutto”: il tema è che si devono sintonizzare filosoficamente sulla trasformazione continua, adottando procedure pragmatiche, leggere, dinamiche, orientate a realizzare prodotti in perenne condizione di test e miglioramento, non soltanto orientate al risparmio e all’efficienza ma anche all’abilitazione dell’azienda ad aggiornarsi culturalmente e imparare a competere su tutti i fronti. Non a caso quasi la metà dei cio, intervistati da Gartner, dichiarano che il problema centrale che incontrano nell’implementazione delle strategie aziendali è di tipo culturale. Anche in azienda, la struttura della macchina organizzativa non è più pensata – bismarkianamente – come una mera esecutrice delle volontà dei vertici aziendali: deve diventare capace di iniziativa e interpretazione della realtà, dedicandosi a un ruolo che superando i limiti dell’implementazione tecnica e si allarga alla necessità di comprendere fenomeni, sintetizzare visioni, guidare processi innovativi, alimentare la creativitià delle squadre al lavoro. Tenendo per di più presenti i valori di fondo che le aziende e le società nelle quali operano si riconoscono: privacy in primo luogo. A questo punto la tecnologia è cultura. E la cultura è tecnologia.
Articolo pubblicato su Nòva l’11 novembre 2018