Labirinto della proprietà intellettuale

Il labirinto dei diritti di proprietà intellettuale non cessa di dimostrarsi intricatissimo. Mi piacerebbe comprendere meglio, per esempio, il senso di questa notizia sulle decisioni dello University-Industry Innovation Summit Team. Un gruppo di università e aziende ha proposto delle guidelines per standardizzare le licenze che si possono usare per sviluppare idee in collaborazione senza il timore di essere poi bloccati nello sviluppo da imprevisti contenziosi. Questa nuova impostazione prevede sia l’uso gratuito che la cessione a pagamento della proprietà intellettuale. In precedenza la situazione era forse meno chiara ma orientata soprattutto alla cessione gratuita degli avanzamenti scientifici. Ebbene: prevedere il pagamento in questi standard sembra un arretramento nella collaborazione scientifica e invece potrebbe alla fine rivelarsi un avanzamento: ma solo se elimina il timore di collaborare causato dai recenti eccessi nella litigiosità sulla proprietà intellettuale, che rischia di frenare la ricerca. Un fatto è certo: la ricerca costa e produce valore, ma i sistemi giuridici appaiono nettamente inadeguati a gestire la situazione. La litigiosità ne è la conseguenza.

  • nicola de carne |

    In effetti il tema della proprietà intellettuale e in particolar modo delle condizioni che regolano i trasferimenti tecnologici fra Università e Industria non sempre sono così chiari e si sente la forte necessità di un quadro che aiuti a regolare queste transazioni.
    In merito all’open source il confine fra la condivisione di quanto sviluppato e la tentazione di proteggere gli investimenti, a volte anche ingenti, è molto labile e a volte si cade nella tentazione di non attenersi ai termini GPL per ignoranza di cosa veramente significa Opensource e di come queste particolari licenze danno comunque gli strumenti necessari per tutelare il proprio investimento.
    In mezzo ai mille convegni di cui leggo ogni giorno sarebbe interessante organizzare degli incontri in cui si parli concretamente dei possibili modelli di licenza opensource e delle potenzialità rispetto il normale copyright per lo meno per chi opera in quello che siamo ormai abituati a chiamare l’economia dell’informazione in rete.

  • Luca De Biase |

    grazie!

  • Guido |

    La questione è molto semplice, si cerca di definire un ‘quadro’ per facilitare la negoziazione di ‘terms and conditions’ nelle convenzioni università-industria. Tutto qui. Nessuno potrà mai impedire a soggetti giuridici di adottare forme contrattuali legali nei paesi in cui operano, e in particolare la distribuzione open source, caso in cui le questioni di proprietà intellettuale sono ovviamente marginali. Gli standard non c’entrano, su quelli ovviamente la proprietà intellettuale non ha senso.

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