Leggo il numero 5 di Link – Idee per la televisione. Una rivista che dimostra come chi pensa e fa televisione sul serio è molto più avanti di chi si preoccupa essenzialmente della pubblicità. Anche se fino a cinque anni fa si poteva pensare il contrario. In questo nuovo volume della rivista – a proposito, grazie a chi me lo ha inviato – si trovano alcune parole familiari, apparse nell’ultimo anno sulle cover di Nòva: "passaparola", "pubblico attivo", "simbiosi"… Significa che c’è un territorio di ricerca comune tra noi di Nòva e la redazione di Link (che fa parte, si scopre nel sito, del marketing della Mediaset).
Invece, le parole della pubblicità, nell’apposita sezione della rivista, restano confinate attorno alla temibile parola "target".
Eppure, noi non siamo un "bersaglio" per "messaggi". Noi siamo persone. Certo, quando ci vivisezionano in fette adatte all’analisi spersonalizzante dei media (spettatori), dell’economia (consumatori) e della pubblicità (target) ci adattiamo. Ma non senza perdere una parte della nostra umanità.
Per questo non può essere un adattamento infinito.
A un certo punto, la costrizione esistenziale che si vive subendo questa divisione concettuale tra le nostre varie maschere socio-economiche (e le cui conseguenze sono immediatamente riconoscibili nella qualità dei programmi televisivi che ci trasmettono) diventa insostenibile. E allora ce ne andiamo. Andiamo su altri canali. Su altri media. Cerchiamo di rimettere insieme i pezzi della nostra vita che vivendo immersi nel consumismo ci eravamo persi… La crisi della televisione tradizionale è anche in parte la crisi della soddisfazione insincera che il consumismo prometteva. Imho.