Il capo della Universal, Doug Morris, è un vero uomo di musica, cresciuto nell’epoca del cd. Un ritratto pubblicato da Wired ne dà conto magistralmente. Poiché la musica è il laboratorio di tutta la vicenda dei prodotti di informazione ed entertainment di fronte alla grande trasformazione attivata da internet, vale la pena di leggere con attenzione.
La Universal, che con le altre tre major controlla ancora il 90 per cento del mercato della musica, non ha capito nulla di internet per lunghi anni. Troppo lunghi. Il periodo dei cd aveva abituato le major a poter fare tutto. Inventare i cantanti, decidere la segmentazione del mercato, convincere le radio a sostenere il loro marketing, produrre i contenuti, chiudere gli artisti in contratti bloccati, imporre ai conumatori prezzi assurdamente elevati… Internet ha messo tutto questo in crisi. E sulle prime le major hanno reagito come animali impauriti. E feroci.
Non hanno smesso di agire in modo irrazionale. Ma hanno cercato anche di trovare strade migliori. Proprio la Universal, per esempio, sembra comportarsi in modo molto intelligente con il fenomeno dei TokyoHotel, beniamini di una generazione che vive di community, scambio di file, fan fiction (ne parla approfonditamente Nòva in edicola domani). E la stessa Universal ha avviato una vera e propria guerra contro la Apple che con iTunes sta diventando il luogo per eccellenza della vendita legale di musica online: un potere troppo forte che secondo Morris va limitato con ogni mezzo.
Ma qual è la visione complessiva? Non mi pare che le idee siano molto chiare. Ecco alcune considerazioni. Un modesto e non esaustivo contributo al ragionamento.
1. Combattere le battaglie legali non paga. Serve a impaurire qualcuno. Ma se la gente deve pagare volentieri la musica, deve avere un motivo diverso dalla paura per farlo.
2. La Apple non ha la vocazione del monopolista della vendita di musica. Fa prodotti molto belli. Ma quei prodotti non sono pensati per essere nelle mani di tutti: sono esclusivi; hanno gusto; ma se li hanno tutti paradossalmente perdono valore. E iTunes non genera profitti per la Apple. Alla lunga, non è la Apple in nemico delle major. Anzi.
3. Gli artisti stanno imparando a fare da soli – senza le major – molte cose. Produzione, spesso. Marketing, molto. Fatturato con i concerti. Ma, certo, molti di loro non sono necessariamente abili in queste cose. Alla lunga avranno bisogno di aiuto. Le major vincenti del futuro non saranno più concentrate sulla proprietà delle opere degli artisti, ma sul servizio agli artisti.
Se poi le major assumessero veri esperti di tecnologia e gente che ha vissuto a pane e internet per lungo tempo, potrebbero assorbire il bello della cultura internettara senza continuare a pensarla come un nemico. Ma questa è un’altra storia.