I fatti della Sapienza sono una sorta di ossimoro: come "fedele incredulità". Non li riassumo, li linko.
La cultura scientifica è soprattutto il metodo scientifico. Del quale fa certamente parte il fondamento fattuale delle ipotesi e la logica nel trattamento interpretativo. L’epistemologia è chiaramente un tema evolutivo. E Feyerabend ne è stato un episodio che comunque il cardinale Ratzinger non ha certamente male interpretato citandone il giudizio sul giudizio su Galileo. Anche perché l’allora papa ha poi promesso che "mai più" la Chiesa si sarebbe imbaracata in un’azione come la persecuzione di un uomo come Galileo.
Dunque, da un lato, è pienamente comprensibile che la fedeltà al metodo scientifico abbia provocato incredulità nei confronti di ciò che dice un capo religioso. Ma, dall’altro lato, non è comprensibile come l’incredulità metodologica della scienza abbia provocato una fedeltà tanto integralista da condurre una parte degli scienziati della Sapienza a rifiutare la tribuna concessa al papa nella loro sede universitaria.
Sono convinto che uno scontro di integralismi non giovi alla scienza quanto ai suoi avversari culturali.
E poi, ascoltare è raccogliere fatti. Se tra questi fatti ci fosse l’apertura del tempio della scienza alla parola del suo avversario, ovviamente senza reciprocità, l’interpretazione più logica sarebbe che la scienza si dimostra più ecumenica della cultura che ha inventato quella meravigliosa parola ma pare poco intenzionata a valorizzarla.
E invece la scelta di sostenere il rifiuto all’intervento papale alla Sapienza, inopinatamente, fa apparire alcuni rappresentanti importanti della comunità scientifica come persone condotte da giudizi aprioristici o dall’esasperazione, non dall’atteggiamento aperto del ricercatore che costituisce la loro vera forza culturale. Imho.
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