Viviane Reding ha distribuito un messaggio in video via internet per segnalare l'importanza della privacy e i pericoli che questo diritto corre online. Ha citato i social network, il behavioural advertising e l'rfid come tecnologie particolarmente problematiche per la privacy. E ha concluso: "E' imperativo, per la prossima Commissione che sarà nominata entro la fine di quest'anno, riformare le regole europee sulla protezione delle informazioni personali che sono state introdotte nel 1995. Questa riforma è necessaria ormai da tempo, visto il rapido sviluppo delle tecnologie".
Bisogna ammettere, con tutto il rispetto, che anche la Commissione attualmente in carica si sarebbe potuta occupare di privacy. Se non lo ha fatto, visto ciò che dice Reding, non è evidentemente per mancanza di sensibilità. L'appello che Reding fa alla prossima Commissione si potrebbe anche leggere come una sorta di critica all'attuale Commissione, oppure come un'autocritica.
Critica o autocritica comprensibile: la lentezza con la quale si prendono le decisioni politiche è in netto contrasto con la velocità dei cambiamenti che avvengono in rete. Una lentezza motivata anche dalla difficoltà spesso dimostrata dai politici a comprendere internet. Ma ogni ignoranza rischia di produrre atteggiamenti meno che razionali, paure eccessive, scelte inadeguate.
C'è da aggiungere che in questo caso, non solo i politici ma anche i cittadini appaiono piuttosto lenti. In effetti, molte indagini sembrano mostrare che la privacy è un diritto sottovalutato dai cittadini, almeno fino a quando qualcosa non va storto. Per loro, spesso, poter usare gratuitamente software, motori di ricerca, sistemi di condivisione delle informazioni, piattaforme per telefonare, è un valore molto superiore alla perdita percepita di privacy.
La consapevolezza è la principale difesa per i cittadini. Quello che pubblicano online, anche se apparentemente riservato agli amici, in realtà può essere visto da molte più persone. E rimane per sempre da qualche parte, anche quando le informazioni non corrispondono più alla realtà. I cittadini, e specialmente i giovanissimi, non ne sono molto consapevoli e questo abbassa drasticamente il livello della loro privacy. E la Reding, in effetti, dedica una particolare attenzione alle regole sull'accesso dei minorenni alle piattaforme di social networking.
Il secondo livello di difesa è l'autoregolamentazione da parte dei gestori delle piattaforme. E anche su questo la Reding si sofferma. Ma se le piattaforme per il social networking hanno un incentivo a rispettare la privacy perché altrimenti rischierebbero alla lunga di perdere gli utenti, le piattaforme dedicate al behavioural advertising non hanno incentivi economici a rispettare la privacy: anzi, gli incentivi sono contrari.
Su questo punto, solo le leggi possono essere un po' efficaci.
E questo porta a un concetto che potrebbe essere generalizzato. Le leggi sulla pubblicità in generale sono piene di buchi e di differenze sostanziali nei vari paesi europei. Le regole italiiane, e le deroghe italiane alle leggi europee, sono diverse dalle leggi britanniche, francesi o tedesche. I bambini sono presi di mira in modi diversi nei diversi paesi. E non solo online, ma anche e soprattutto in televisione. Una coraggiosa riforma della pubblicità, coadiuvata da una coraggiosa azione antitrust a livello europeo, potrebbe essere particolarmente improtante: all'interno di quella riforma, anche il tema della privacy e della pubblicità online potrebbe essere afforntato meglio.
L'argomento è generale. Spesso le riforme che riguardano internet sono pensate come se i temi che affrontano esistessero soltanto su internet, mentre in generale si inseriscono di solito in questioni più grandi: copyright, sicurezza, diffamazione, per fare degli esempi, sono argomenti crossmediali, non specifici di internet e le riforme che li riguardano dovrebbero tener conto dell'intero ecosistema nel quale si inseriscono. Affrontarli con regole che suppongono che esista solo internet non può essere una politica efficace.