Enorme quantità di commenti, reazioni e proteste in seguito alla decisione di un tribunale svedese di condannare alla galera e a una pesante sanzione pecuniaria i ragazzi che hanno costruito e gestito The Pirate Bay, un servizio usato da decine di milioni di persone per scaricare musica, film e altro materiale soggetto a copyright.
Il tema è invecchiato alla velocità di internet: la più grande macchina per l'innovazione e la condivisione culturale degli ultimi vent'anni, un generatore di opportunità e anche di dilemmi. Da una parte ci sono le lobby delle grandi major della musica, della televisione e della cinematografia che non cessano di chiedere, e spesso ottenere, un'estensione del copyright e una conseguente riduzione del pubblico dominio, allungando la durata del diritto e limitando i consumatori molti modi. Dall'altra parte c'è il pubblico che ha trovato in internet e in una moltitudine di programmi che si trovano online l'occasione per scambiarsi massicciamente e gratuitamente materiale soggetto a copyright, mettendo seriamente in crisi i vecchi modelli di business dell'industria dei contenuti. Che a sua volta reagisce cercando con molta fatica e scarsa fantasia nuovi modi di valorizzare le opere degli artisti e dei creatori e, soprattutto, tentando ogni strada per reprimere il fenomeno e chiedendo modifiche importanti alle regole che definiscono le responsabilità in materia.
Il caso dei Pirati della Baia è particolarmente controverso. La loro piattaforma è stata usata per fini illegali da milioni di persone, ma è a sua volta illegale? Certo, non hanno aiutato la posizione dei ragazzi le loro dichiarazioni esplicitamente contrarie al copyright, motivate dalla convinzione che questo diritto vada modificato: una convinzione che era loro diritto esprimere ma che abbinata alla diffusione di uno strumento per metterla illegalmente in pratica è stata considerata un'aggravante della loro posizione. Certo, non è chiaro se la rottura di un contratto di licenza di copyright possa essere considerata motivo per mandare in galera la gente. Ma questo è argomento dei giuristi.
Il timore generalizzato è che questo possa diventare un precedente per dare alle lobby la possibilità di ottenere quello che alcuni governi, come quello francese (nonostante un recente incidente di percorso parlamentare) sembrano orientati a concedere loro: l'estensione della responsabilità nell'opera di repressione dello scambio illegale di musica e film ai provider di accesso a internet e ai gestori delle piattaforme software che gli internauti usano, prevalentemente per scopi legali ma talvolta anche per violare la legge. Ebbene, questo concetto dovrebbe essere respinto. Non solo perché sarebbe come se il compito di prendere un ladro che corre in autostrada su un'automobile fosse del gestore dell'autostrada o del fabbricante dell'automobile. Ma anche perché introdurrebbe limiti alla neutralità della rete rispetto ai contenuti, alimentando una quantità di timori per la libertà di espressione e lo sviluppo delle innovazioni.
I governi devono occuparsi di modernizzare il diritto per adattarlo alle esigenze paradigmaticamente diverse dell'epoca della conoscenza, della globalizzazione e di internet. Ma devono interpretare quest'opera necessaria in modo da garantire l'interesse generale. Nell'epoca della conoscenza il valore si concentra sulle idee, l'informazione, la ricerca, l'immagine, il senso. E per favorire la crescita di questo valore è necessario trovare il giusto equilibrio legislativo tra l'interesse dell'industria dei contenuti che giustamente deve difendere il suo diritto e il meno vociante e potente interesse del pubblico: degli scienziati che condividono il percorso della ricerca, degli artisti che si scambiano idee e ispirazioni, dei cittadini che si trasmettono informazioni, degli studenti e degli educatori. La creazione sorge sempre dall'esperienza e dalla conoscenza già sviluppata, dalla sua rielaborazione, dalla sua reinterpretazione. L'industria ha diritto ad essere difesa. Il pubblico anche. I governi devono dimostrare di conoscere la via giusta per salvaguardare l'ecosistema delle idee.