Sta montanto il dibattito sul cambiamento nell'università americana in chiave internettiana. Sul Washington Post il tema è affrontato a partire da una constatazione: l'educazione via web costa drammaticamente meno che quella che si sviluppa andando fisicamente in un college in un'altra città. E su FastCompany si discute di come l'internet metta in discussione tutte le abitudini di qualunque business si basi su informazioni. Certo, nessuno nega che l'esperienza di un college fisico sia diversa. Ma è chiaro che ci si concentra sul rapporto costi-benefici misurabile in termini economici, l'argomento stia diventando attuale.
Non è la prima volta che si parla di educazione online. E sarebbe ingenuo pensare che questa volta sia sostanzialmente diverso, anche se il web collaborativo ha dimostrato che molte cose (dalla musica ai giornali, dalle enciclopedie ai manuali) sono in via di ridefinizione.
I corsi universitari online saranno probabilmente un complemento di quelli fisici per molto, molto tempo. Ma si tratta di un complemento destinato a diventare importante. Perché il web abbassa i costi in modo tale da rendere molto più ampio il mondo delle persone che possono pensare di accedere a forme di educazione superiore.
Come nel caso del telelavoro, anche nell'università il lato informale della comunicazione che si sviluppa con la vicinanza fisica resterà probabilmente importante. Le differenze già oggi significative tra addestramento, istruzione, formazione, educazione, ricerca, progettazione, probabilmente si accresceranno. Ma un fatto è certo: la sfida del web porrà anche l'università – come i giornali e le major della musica – di fronte alla necessità di ripensarsi.
(via Jc De Martin: il Centro NEXA al Politecnico di Torino sta organizzando col Berkman Center di Harvard un importante convegno in materia, che si terrà a Torino il 28-30 giugno 2010)