Mezzi,
movente, opportunità. Quando la polizia deve scoprire se qualcuno
potrebbe aver compiuto una certa azione, cerca di capire se aveva i
mezzi, se aveva un movente e se si trovava nell'opportunità di
commettere il fatto. Secondo Clay Shirky, un'indagine di questo genere
vale anche per le società che operano una grande scelta di fronte a una
sfida epocale. E per l'autore di "Cognitive Surplus", il momento
storico che attraversiamo è di questo tipo.
La
sfida è l'avvento dell'epoca della conoscenza: un contesto nel quale il
valore si concentra sull'immateriale e la sua produzione discende dalla
ricerca scientifica, dall'innovazione tecnologica, dalla generazione di
idee, immagine, informazione. Il problema che ne consegue è più
semplice da formulare che da risolvere: nell'epoca della conoscenza
progredirà solo chi avrà i mezzi per conoscere e influire sulla
conoscenza mentre gli esclusi dal sapere perderanno terreno? Oppure è
possibile attuare strategie di inclusione che riducano le
diseguaglianze e riaprano prospettive di crescita per tutti? Insomma: è
possibile una significativa innovazione dei modi con i quali si
diffonde il sapere nella società?
Shirky
risponde puntando tutto sulla cultura della partecipazione di un enorme
quantità di persone alla produzione e allo scambio di informazioni
attraverso i nuovi media: dato che gli adulti nel mondo sviluppato
hanno a disposizione mille miliardi di ore di tempo libero all'anno,
calcola Shirky, se solo ne dedicassero l'1% alla produzione e
condivisione di conoscenze avrebbero il tempo necessario a scrivere di
sana pianta 100 nuove Wikipedia in un anno. La divulgazione del sapere
ne sarebbe clamorosamente migliorata e l'accesso alle conoscenze di
base sarebbe molto più diffuso. I mezzi e l'opportunità, stando a
quanto osserva Shirky, ci sarebbero, dunque: ma il movente?
La
scienza si dimostra un apripista di tutto rispetto, come rilevano
Jean-Claude Burgelman, David Osimo e Marc Bogdanowicz, autori di un
recentissimo paper pubblicato su First Monday che mostra la
moltiplicazione vertiginosa delle attività di pubblicazione e
comunicazione della ricerca resa possibile da internet. Ma come si
passa dalle centinaia di migliaia di scienziati che scrivono blog sulle
loro ricerche a una più capillare diffusione del sapere?
Come
suggeriva Armand Mattelart nel suo "Storia della società
dell'informazione", occorre respingere la tentazione che mezzi e
opportunità siano sufficienti a tagliare radicalmente con il passato e
cercare l’innovazione anche nei contenuti. La divulgazione della
conoscenza – scientifica e non solo – non è più la semplificazione del
sapere perché possa essere fruito da persone che non ne sono
specialiste. Anche perché alla tensione verso la specializzazione
corrisponde un'uguale e contraria necessità di ridefinizione degli
ambiti disciplinari: il successo della "Terza cultura" proposta da John
Brockman con il suo Edge, luogo online di incontro tra scienziati e
umanisti, ne è un esempio illuminante. In realtà, come sostengono
Pietro Greco e Nico Pitrelli in "Scienza e media ai tempi della
globalizzazione", la diffusione della conoscenza dipende da fenomeni
sociali e culturali ben più profondi, che riguardano la consapevolezza
del valore di quella conoscenza, anche in contesti nei quali
riconoscerlo non è immediato.
Da
questo punto di vista la televisione, alla quale gli adulti del mondo
dedicano gran parte di quei mille miliardi di ore di tempo libero
annuale di cui dispongono, assume un nuovo ruolo nella filiera
crossmediale. Anche perché resta il mezzo che ha le maggiori
probabilità di cogliere l'attenzione di una grande porzione della
società, meno alfabetizzata ma aperta a interessarsi al sapere. Per
svolgere questa funzione, almeno in ambito scientifico, la televisione
si sta rinnovando. Una decina di canali satellitari dedicati, Discovery
e National Geographic in testa, visibili in gran parte del pianeta
rinnovano il loro linguaggio. E diverse serie televisive, da Csi a
Fringe, contribuiscono alla conoscenza delle tecniche della scoperta e
all'immaginazione del futuro possibile. Non è mai troppo tardi anche
per la tv, insomma, che resiste all’ascesa di internet – come osservava
l’Economist qualche settimana fa – anche reinventando i suoi modi per
raccontare la scienza, la tecnologia, la creatività.
Le
immagini, prima di tutto. Il grandissimo affresco della natura
raccontato in "Life" da David Attemborough per la Bbc dimostra che la
qualità della fotografia di tipo cinematografico è ormai una
possibilità reale anche per la tv. E il modo amichevole con il quale la
serie Nova della Pbs mette sotto i riflettori gli scienziati mostra
come sia possibile ridurre la distanza che normalmente separa "chi sa"
da "chi non sa". Si può sperare che "Cosmo", evento televisivo
realizzato dall'équipe di Gregorio Paolini per Raitre, diventi un
esempio di ricerca narrativa innovativa per diffondere tra i cittadini
la consapevolezza dei problemi e delle prospettive aperte dalla scienza
e dalla tecnologia.
Alla
sfida culturale che stiamo vivendo non ci può essere una risposta
monomediatica. Internet, giornali e riviste, tv partecipano
all'ecosistema dell'informazione per ritrovare un equilibrio culturale
più sano e compatibile con il futuro che stiamo costruendo.
Ah: che cos'è Cosmo? Centotrenta
ore di girato. Due mesi di lavoro e ventimila chilometri percorsi per
la realizzazione dei servizi. Tre giorni di riprese in studio con
quaranta persone (tra le quali chi scrive). Dodici telecamere e
macchine fotografiche ad alta definizione. Trenta ore di rendering.
Centoquaranta ore di post produzione. E quattrocentosessanta litri di
acqua minerale. Il tutto per Cosmo: un evento televisivo di due ore
dedicate al futuro che stiamo costruendo per i giovani di questo
pianeta. La trasmissione, voluta da Raitre e realizzata dalla Hangar di
Gregorio Paolini, in programma per sabato 4 settembre, è pensata per
ricostruire una visione di prospettiva sulle conseguenze della scienza
e della tecnologia e contribuire alla comprensione dell'evoluzione del
corpo umano, dell'intelligenza, dell'ambiente naturale. Per prendere
coscienza di come le nostre scelte di oggi definiscano il mondo nel
quale vivremo domani.