È un giorno eccezionale, il giorno in cui il leader assoluto di un mondo vede che il fondamento stesso del suo potere può svanire. Ieri è successo. Ray Ozzie è l'uomo che cinque anni fa ha preso il posto di Bill Gates a capo dell'architettura del software alla Microsoft. E ieri ha scritto sul suo blog che è tempo d'immaginare un mondo nel quale i personal computer saranno una tecnologia superata. Il titolo del post, non a caso è: «L'alba di un nuovo giorno». E, tanto per aggiungere carne al fuoco, si tratta di un intervento che precede di poco l'annunciata fine della sua collaborazione con la Microsoft.
Storia speciale, quella di Ozzie. Fondatore seriale di aziende, innovatore del software, rispettato visionario. Sulla sua strada ci sono nomi epici come il Plato Project, che prima dei pc già lavorava su elaboratori non centralizzati, e poi VisiCalc, e Lotus 1-2-3, il foglio elettronico più diffuso nei primi anni del personal computer. La tappa che ha definito la sua carriera è probabilmente la progettazione di Lotus Notes, il primo grande sistema di collaborazione in azienda che al suo apice era usato da 120 milioni di persone: un lavoro partito alla metà degli anni Ottanta e poi confluito nell'Ibm una decina d'anni dopo. Pochissimi, oltre a Ozzie, avrebbero avuto il prestigio necessario a succedere a Bill Gates alla guida strategica del software della Microsoft. E soprattutto per ridefinirne il percorso di sviluppo nell'era di internet: a partire dal suo arrivo nel 2005, infatti, la Microsoft avrebbe abbracciato l'idea che il software non è destinato a restare un prodotto e anzi probabilmente tende a diventare un servizio, cui si accede online.
Oggi, Ozzie vede in arrivo un'altra ondata di innovazioni, che secondo lui, cambierà profondamente lo scenario operativo per le aziende tecnologiche. «Siamo cresciuti pensando che l'elaborazione dei dati fosse un'attività svolta da strumenti familiari come i computer, i programmi, i documenti che sono registrati su pc che si usano pensando a un'interfaccia che assomiglia a una scrivania. È difficile pensare che questo cambierà. Ma oggi quell'architettura ha raggiunto un'immensa complessità» dice Ozzie: «E la complessità uccide».
Già. Gestire un mondo nel quale i dati sono registrati su server cui si accede via internet, usando tablet, telefonini, televisioni, lettori di musica o libri digitali, console per videogiochi, e anche pc, elaborando i dati con software che si scaricano alla bisogna dalla rete, è un compito di estrema complessità. Specialmente se non si riesce a immaginare questo mondo se non pensandolo ancora centrato sul personal computer quando ormai è chiaro che l'universo digitale non ha un centro ma un immenso respiro grande come la ragnatela mondiale internettiana.
Questa complessità può essere affrontata solo a partire da una visione. Google, per esempio, ne ha una di grande successo: è fondata sull'efficiente ricerca dei singoli atomi d'informazione che miliardi di persone registrano e scambiano su internet, ha un modello di business basato sulla pubblicità, è indifferente ai sistemi operativi e rende tendenzialmente compatibili tutte le tecnologie. E anche Apple ha una visione di altrettanto imponente successo: costruire su internet un mondo controllato di piattaforme, applicazioni, strumenti di accesso e fruizione, che garantiscano la qualità dell'esperienza degli utilizzatori, semplificandola ma non banalizzandola, e riducendo progressivamente la distanza tra i computer mobili e quelli fissi. Infine, anche Facebook ha una visione: puntare sulle relazioni tra le persone, sul gioco dello scambio d'informazioni, sulla ricerca di riconoscimento sociale per lavorare su una piattaforma che le faciliti nelle loro comunicazioni, nei loro passatempi, nelle loro curiosità, nell'accesso alle applicazioni. Sono visioni che affrontano la complessità, ma la tagliano in modo da proiettare gli utenti verso il massimo utilizzo delle potenzialità della rete.
Microsoft è pienamente consapevole del passaggio epocale che attraversa. Ma tenta di governarlo, in modo che in certi casi potrebbe sembrare tale da frenarlo. Il suo sguardo è rivolto avanti quando il ceo Steve Ballmer dice che, entro il 2020, un quarto del fatturato della Microsoft verrà dalla pubblicità, anche se questa previsione non è certo visionaria. Ma è chiaramente puntato sul presente e forse sul passato quando non cessa di vedere nel sistema operativo Windows e nella suite di programmi Office i generatori della stragrande parte dei suoi profitti.
Ozzie lascia la Microsoft avvertendola che proprio in questi mesi il mondo dell'informatica attraversa uno dei suoi periodi di flesso, nei quali qualcosa di radicale sta cambiando. Apprezza il lavoro fatto finora per adeguarsi al contesto internettiano. Ma forse non ritiene che la Microsoft si stia liberando abbastanza velocemente della sua dipendenza da Windows: che resta un ottimo prodotto, utilizzato da un miliardo di persone, ma che potrebbe ritrovarsi aggirato come una linea Maginot. Ecco perché lancia ai colleghi il suo invito più entusiasta e affettuoso: «Nella nostra industria se puoi immaginare qualcosa lo puoi anche costruire. E dunque il primo passo per tutti noi è immaginare senza paura». Anche la Microsoft deve sognare.