Internet è un sistema complesso. Non è una macchina definita dalla sua funzione ma un ecosistema in evoluzione. Dalle sue regole implicite, sedimentate nelle innovazioni che sono state adottate nel tempo, emergono i comportamenti comuni tra gli utilizzatori. Sicché Internet non può essere giudicata come, di per sé, più o meno favorevole alla democrazia, ma la sua capacità di abilitare la generazione di innovazioni sociali è altrettanto chiara. Il tema è stato affrontato in un convegno organizzato a Roma dalla Fondazione Basso venerdì scorso, con la guida di Stefano Rodotà. E non dovrebbe sfuggire a chi si sta occupando delle prossime nomine all'Agcom.
Il compito di chi sia interessato al contributo democratico che internet può portare nelle società, diverso nei diversi contesti, è abilitato dalle sue regole strutturali, tra le quali la neutralità della rete, intesa come l’incapacità della rete di controllare i contenuti dei pacchetti di dati che vi viaggiano. Da essa discende la possibilità per ciascuno di esprimersi e innovare. Il contributo democratico della rete non è altro che quello di facilitare anche l’introduzione di innovazioni progettate per facilitare l'emergere di comportamenti democratici. La net neutrality è una delle condizioni perché queste innovazioni possano essere proposte, ma non ne garantisce l’adozione né i risultati. Su quello, piuttosto, influiscono i dati storico-giuridici propri di ogni società. Una società può ovviamente scegliere su quali valori fondarsi. Ma la possibilità per tutti i cittadini di accedere a internet e di proporre innovazioni è un valore cui una società democratica non può restare insensibile.
La consapevolezza della delicatezza degli equilibri che fondano la generatività della mediasfera intesa come ecosistema è forse ancora poco diffusa, come lo era cinquant'anni fa la consapevolezza della delicatezza dell'ecosistema ambientale. Chi propone oggi un’ecologia dell’informazione è incoraggiato dai progressi ottenuti nel tempo nell’ecologia dell’ambiente.
Vedi anche: L'intelligenza collettiva e la democrazia