Articolo pubblicato su Nòva24, domenica 27 gennaio 2013
Scorrendo la pagina ufficiale di Mario Monti su Facebook si trovano circa 20mila "mi piace" e centinaia di commenti negativi. Talvolta molto negativi. Chi gestisce la pagina ha pensato di far notare che esistono delle regole per la conversazione in rete che non sono molto diverse da quelle della buona educazione e della legge che valgono fuori dalla rete. Ma per molti, apparentemente, è difficile non cogliere l’occasione offerta dall’esistenza di un canale diretto con il presidente del Consiglio uscente e candidato per manifestare un forte dissenso. Quanti di questi commenti sono autentici e quanti sono frutto di azioni di disturbo da parte dei concorrenti politici? Non è dato saperlo. Un commentatore però si chiede se una pagina come quella possa portare voti. E anche a questa domanda è difficile rispondere. In realtà, tutta la questione della relazione tra i politici in campagna elettorale e le reti sociali è argomento di riflessione.
Un gran numero di candidati ha aperto un account su Twitter, Facebook e altro. Ci sono siti ufficiali, pagine interattive, messaggi video. Ogni opportunità espressiva è esplorata. Ovviamente la promozione delle idee e delle persone va dove ci sono le persone cui si vuole che arrivino i messaggi. Ma indubbiamente si ha l’impressione che l’utilizzo della rete semplicemente come un nuovo canale per tenere alta l’attenzione su ciò che si promuove sia uno spreco e un rischio. Il caso dell’infortunio su Twitter occorso a Letizia Moratti candidata a sindaco di Milano (quando chi gestiva l'account si è lasciato ingannare da un messaggio che chiedeva aiuto per il fantomatico quartiere di Sucate), dimostra il rischio. Ma che cosa può dimostrare lo spreco?
Il confronto con le campagne online di Barack Obama è il classico modo di rispondere. Il presidente degli Stati Uniti ha usato tutti gli strumenti della rete architettando le sue azioni con molta precisione. Non si trattava tanto di conversare o diffondere messaggi. Quelli erano solo gli strumenti per stabilire un contatto e invitare a partecipare: offrendo fondi, organizzando manifestazioni, convincendo altri a iscriversi alle piattaforme di Obama. Ogni operazione aveva i suoi obiettivi quantitativi e veniva portata avanti fino a che li raggiungeva, o veniva abbandonata se non funzionava. Alla fine la massa di persone che si sono iscritte hanno lasciato allo staff del presidente una quantità tale di informazioni sulle loro vite che l’analisi dei dati ha consentito ai responsabili della campagna 2012 di sapere che cosa facevano gli elettori, se erano indecisi, se serviva chiedere ai vicini di andarli a convincere: nel giorno delle elezioni, sapevano se andavano a votare o se c’era bisogno di un’ulteriore spinta. Ciò che lo staff di Obama conosceva sui suoi potenziali elettori non era troppo dissimile da quello che Facebook sa dei suoi clienti.
I dissidenti c’erano anche sulla piattaforma di Obama. Il presidente, o chi per lui, rispondeva col tono di chi decide, prendendo anche posizioni contrarie a quelle dei contestatori ma spiegandole e rispettando tutti. Clay Shirky, studioso della materia, ha osservato che i critici hanno dimostrato di essersi accorti di questo atteggiamento e di avere espresso, con il dissenso sui contenuti, anche l’apprezzamento per i metodi.
La rete è molto più che un sistema per promuovere i candidati. Non è un ambiente per la tattica: è un luogo della strategia. Perché – come tutti gli altri media, ma più degli altri media – la rete comunica a più livelli: non solo attraverso i testi e con il tono, ma anche con gli obiettivi pragmatici che si perseguono, i numeri che si generano, le strutture logiche e le forme di interazione che si disegnano. Il tentativo di "gamification" del sito Agenda-Monti è originale, per esempio, anche se forse dovrebbe essere più esplicito il metodo che sarà seguito per tener conto dei contributi degli elettori. Evidentemente, il gruppo guidato da Beppe Grillo ha una storia più lunga alle spalle in questo genere di cose. Ed è riuscito a organizzare, oltre che comunicare con la rete. Altri partiti, dal Pd al Pdl, hanno imparato a considerare attentamente il web.
Ma la vita politica in rete è agli esordi. Le scelte partecipate, la trasparenza nell’uso delle risorse dei partiti, il controllo della qualità delle informazioni, sono possibili forme di partecipazione dei cittadini alla politica che restano poco sviluppate. E non saranno le operazioni dell’ultimo momento, quando si avvicinano le elezioni, a farle emergere. Sarà l’interpretazione di fondo che i cittadini stessi e i loro rappresentanti matureranno della politica.