Il fatto è che i profitti della Apple nel trimestre terminato in marzo 2013 sono scesi a 9,5 miliardi di dollari su 46,6 miliardi di fatturato, contro gli 11,6 miliardi su 39,2 miliardi dello stesso periodo dell'anno precedente.
L'aumento del fatturato e la diminuzione dei profitti non si spiega soltanto con i margini ridotti dell'iPad mini, che comunque contano. La Apple ha venduto 37,4 milioni di iPhone, contro 35,1 milioni dello stesso periodo dell'anno precedente, 19,5 milioni di iPad, contro 11,8 milioni e quasi 4 milioni di Mac, contro 4 milioni. Si direbbe che ci sia stata una generale tensione verso l'aumento delle vendite a danno del margine, normale in un periodo in cui il principale competitore, la Samsung, sta dilagando in termini di pezzi venduti.
Il ceo Tim Cook ha spiegato questi fatti con calma, con il solito approccio didascalico, che non appariva cambiato dalle voci che mettevano in discussione la sua posizione in azienda. In effetti, non dovrebbe essere tanto drammatico un calo dei profitti dopo 10 anni di aumenti e in un periodo economicamente tanto incerto. Ma per un'azienda che ha vissuto per tanti anni in crescita su tutta la linea, un arretramento anche se di limitate proporzioni si fa comunque notare.
Il Wall Street Journal ha fatto notare che se la Apple è considerata una compagnia che fa essenzialmente hardware ha un margine doppio rispetto ai concorrenti ma viene anche valutata in relazione a un business voltatile. Se il suo business è piuttosto visto un ibrido di hardware e di software con un approccio da piattaforma, i margini si spiegano meglio ma i timori cambiano, considerando che i servizi cloud della Apple non sono ancora valutati allo stesso livello di quelli dei competitori, dice il giornale finanziario americano. Pochi analisti peraltro riescono a valutare il peso della leadership culturale della Apple e la sua eventuale erosione. Come è difficile comprendere l'apporto ai margini del design straordinario dell'azienda di Cupertino.
Ma è su questo genere di fenomeni, vagamente ambigui dal punto di vista degli analisti, che in fondo punta Cook. Il ceo dice che la Apple continua a puntare sull'offerta di prodotti che garantiscano la migliore esperienza possibile agli utenti. E ha buon gioco nel far notare che questo continua a essere vero. Pochi possono contraddirlo. Ma pochi possono anche scommettere di conoscere quanto questa superiorità possa durare.
L'unica dimostrazione, in questo senso, è il ritmo dell'innovazione. Un rallentamento, in effetti, mette a rischio la credibilità di un leader culturale. Per questo in effetti ci si interroga sulla velocità con la quale la Apple riuscirà a lanciare nuovi prodotti. E quando uscirà con innovazioni del livello di quelle che negli anni passati le hanno consentito di inventare nuovi mercati, come quando è uscita con l'iPod-iTunes, con l'iPhone-AppStore e con l'iPad. Si parla di orologi e televisioni, come di nuovi sistemi di pagamento. Ma per ora non ci sono certezze.
Ed è un po' per questo che il grande buy-back di azioni annunciato dalla Apple, che restituirà agli azionisti quasi 100 miliardi di dollari in tre anni, non fa sognare: è una abnorme dimostrazione di forza finanziaria ma è anche una sorta di riduzione dei margini dell'immaginazione.
È pur vero che questa scelta è coerente con l'impostazione storica della Apple che non è cresciuta per acquisizioni, ma per invenzioni. Ma è anche vero che ogni successo ottenuto con l'innovazione passata alza la difficoltà di stupire ancora con l'innovazione futura.
E quindi la Apple si trova di fronte al compito inedito di spiegare la sua strategia: una volta ce n'era meno bisogno, perché bastava raccontare i prodotti. Erano quelli a spiegare l'azienda.