Questa storia dell'iBond può essere una grande mossa finanziaria ma non è certo coerente con la cultura della Apple: soprattutto se si ritiene che si tratti di un'operazione non troppo diversa da una precedente decisione della Microsoft.
"Think different", diceva uno slogan identitario fortissimo della Apple, dopo il ritorno di Steve Jobs. Ma che cosa c'è di diverso in un giro di soldi come questo, a parte il gigantismo dell'operazione? Nessuno può sapere che cosa avrebbe fatto il fondatore. Di certo sappiamo che lui non aveva mai preso in considerazione l'idea di distribuire megadividendi per sostenere il titolo. E men che meno aveva immaginato di emettere dei bond per poter pagare dei megadividendi, allo scopo di ottenere qualche vantaggio fiscale. Ma è perfettamente giusto che il nuovo management pensi con la sua testa senza fossilizzarsi a immaginare che cosa avrebbe deciso Steve Jobs.
Certo, avere 150 miliardi in banca è una responsabilità. Ma il punto è che usarli nell'ingegneria finanziaria è meno affascinante che usarli per attivare qualcosa di grandioso con l'innovazione tecnologica e culturale cui la Apple originaria pensava ossessivamente.
Esempi? Tra i tifosi della Apple non mancavano quelli che si trastullavano con domande tipo: come sarebbe un'automobile disegnata dalla Apple? oppure: come sarebbe una banca disegnata dalla Apple? Con la liquidità della Apple unita alla sua ambiziosa innovatività, ogni impresa poteva essere presa in considerazione. Invece restano senza risposte, per ora, domande molto più banali: come sarà un televisore o un orologio disegnato dalla Apple?
Il senso di responsabilità ha certamente guidato le decisioni dei vertici della Apple. Ma la prudenza è tipica delle aziende adulte. La Apple era un'eterna startup. Oggi è cresciuta. Troppo matura, forse, per restare ancora hungry e foolish. Il che non significa che non possa riservare ancora qualche sorpresa.