L'inchiesta del Washington Post su Prism, il sistema usato dalla Nsa e probabilmente dall'Fbi per raccogliere dati sui cittadini americani e internazionali senza mandato della magistratura, intercettando messaggi di posta elettronica, chat, video, fotografie, è profondamente inquietante.
L'inchiesta solleva molti interrogativi sulle modalità con le quali i servizi hanno avuto accesso ai dati personali degli utenti di mezzo mondo. Ma lascia alcune certezze: non solo in Cina o in Iran, ma anche negli Stati Uniti, le autorità possono usare internet per le loro attitivà di controllo della popolazione; nonostante le forme di protezione garantite dalle piattaforme, l'uso della rete mette a rischio la privacy dei cittadini; la guerra cibernetica latente, endemica, tra stati, gruppi mafiosi e terroristi, che coinvolge corporation e cittadini che non c'entrano, non è un'idea da fantascienza, ma una pura e semplice realtà.
Ci si può indignare, dunque. Ma non stupire. Il paese che ha inventato Echelon, il paese che spende la metà delle spese militari del pianeta, il paese che dopo lo shock dell'attacco alle Torri Gemelle ha espanso enormemente il potere dei servizi dedicati alla sicurezza nazionale a scapito dei diritti dei cittadini, diventa logicamente anche il paese nel quale le autorità fanno l'uso più massiccio dei Big Data per svolgere le loro indagini. E ancora una volta sono i suoi mezzi di informazione, dal Washington Post al Wall Street Journal (che ha rivelato come anche le carte di credito siano state monitorate dai servizi) a far sapere al mondo come stanno le cose.
Ma il tema strategico non si risolve con l'indignazione dei cittadini che si sentono ingiustamente spiati, né con le informazioni o disinformazioni delle parti interessate. La complessità tecnologica dei grandi nodi sui quali si concentra il traffico internet apre la strada a molte forme di utilizzo indesiderato dei dati degli utenti e lascia ampi spazi di manovra a chi ne voglia fare un uso diverso da quello cui pensavano gli utenti quando li hanno resi disponibili.
E la conseguenza strategica è evidente. Accanto ai grandi poli commerciali dell'attività internettiana, da Google ad Apple, da Facebook a Microsoft, da Skype ad Aol, occorre che restino in funzione e si sviluppino altre piattaforme, aperte, non proprietarie, più piccole, più controllabili dagli utenti e meno concentrate in enormi data center. Un sistema in cui la maggior parte delle persone che usano internet lascia tracce in pochi enormi nodi della rete, facilita enormemente l'azione di chi, legittimamente o meno, cerca di controllare i cittadini. Un sistema più decentrato, con un maggior numero di piccole piattaforme e minor potere per i proprietari delle grandi piattaforme è anche un sistema più sicuro per gli utenti. Quindi le operazioni condotte nei network dell'open source, che si impegnano per la creazione di software aperto e di piattforme mobili e fisse controllabili dai cittadini, hanno senso e vanno aiutate. Mozilla, GitHub, GlobalLeaks e altri luoghi della rete aperta vanno sostenuti, perché mantengono viva l'alternativa alla concentrazione proprietaria.
Internet è un bene comune. Il software e le piattaforme che si pongono come beni comuni sono coerenti con questo carattere della rete e lo proteggono. Il che ha conseguenze profonde per la libertà, la consapevolezza e la privacy dei cittadini. Perché rende la vita più difficile ai controllori più o meno autoritari. E perché incentiva gli utenti a mantenersi più attivi e responsabili.