Le nuove regole che riguardano internet sono sempre oggetto di discussioni su molti livelli, specifici e di principio. Poiché si rivolgono a un sistema complesso molto reattivo, le conseguenze indirette delle normative sulla rete rischiano spesso di essere più importanti di quelle dirette. Più o meno come avviene nelle regole che riguardano l’ecologia. Sicché, chi condivide una forte sensibilità per l’ecosistema internettiano tende a invitare a coltivare una grande prudenza nei confronti delle nuove regole che modificano la struttura della rete. Una parte di coloro che condividono questa sensibilità, poi, propongono di tagliar corto e di non regolare internet per niente.
È una posizione comprensibile. Ma il principio non dovrebbe diventare massimalismo. Ogni nuova operazione che riguarda la rete dovrebbe essere avviata solo dopo una “valutazione di impatto digitale” per comprendere se la soluzione adottata non genera indirettamente altri problemi più grandi. Ma l’esperienza insegna anche che la stessa libertà e generatività della rete non si mantengono se non all’interno di un sistema di regole che le proteggano. La net neutrality è una regola che salvaguarda l’innovatività dell’internet. La libertà di espressione e la privacy non si salvano se non come diritti umani. L’accesso per tutti non si ottiene se non come policy per la crescita economica, lo sviluppo culturale e l’inclusione sociale.
Il dibattito sull’approccio “costituzionale” alle norme che riguardano internet ha una lunga storia. Alimentata dalle idee del giurista Stefano Rodotà. Concretizzata in Brasile con il Marco Civil. E sviluppata dalle scelte della Corte Ue. Se n’è discusso alla Camera dei Deputati lunedì 16 giugno. E poiché le leggi si possono vedere come algoritmi, le regole strutturali della rete possono essere incarnate nel codice del quale sono fatte le piattaforme pubbliche. È una dimensione dell’innovazione profonda.
Questo pezzo è stato pubblicato su Nòva24 domenica 22 giugno.