La Corte suprema americana ha motivato una decisione – sul diritto dei cittadini a non subire una perquisizione del cellulare da parte della polizia senza mandato – dichiarando che lo smartphone fa parte dell’anatomia del corpo umano. L’idea circolava da tempo: il cellulare come protesi cerebrale. Ma ora l’intuizione è realtà giuridica e si trasforma: una vaga e affascinante metafora diventa un elemento preciso dell’organizzazione concettuale della vita sociale.
Ma è solo l’inizio. Il cambio nella definizione giuridica del cellulare non rende giustizia di una più ampia realtà. Svincolando la rete dal luogo di accesso, i cellulari insegnano a percepire ciò che esiste su internet come una presenza costante, un arricchimento dell’ambiente. E, dall’altra parte dello specchio, tutto questo si traduce nella registrazione di miliardi di informazioni sugli utenti e dunque una conoscenza in continua evoluzione sui movimenti dei corpi umani e sulle loro connessioni, interessi, azioni.
Tutto questo favorisce l’emergere di una forma di partecipazione personale all’organizzazione sociale, nella quale l’individuo connesso non è mai solo, ma neppure si lascia aggregare in gerarchie di individui passivi e indistinti. Con conseguenze fortissime per le aziende che non possono chiamarsi fuori dalla trasformazione: perché le loro persone ne sono pienamente coinvolte.
Di conseguenza, il business dei servizi aziendali si arricchisce di offerte che non vengono solo dall’esperienza informatica ma anche da una grande conoscenza dell’internet mobile. Come diceva Bill Gates, è difficile che l’azienda che ha dominato una fase della tecnologia resti leader nell’èra successiva: sicché la competizione si allarga prima di riconsolidarsi. E infatti accanto ad aziende come Hp, Ibm, Accenture, si presentano nuovi giganti come Samsung, Vodafone, Amazon o Google. L’evoluzione continua.
Articolo pubblicato su Nòva il 16 luglio 2014