E dunque l’Europa si muove. Certo, si muove con i suoi tempi, simboleggiati dai cinque anni che ci sono voluti per arrivare a dieci settimane dal termine della sua indagine sulle presunte pratiche anticompetitive di Google e al lancio di una nuova indagine sulla piattaforma mobile Android. Ma le decisioni dell’Antitrust di Bruxelles su Google si fanno sempre più stringenti e sono operate nel contesto di uno stillicidio di azioni, sempre più frequenti, che riguardano l’azienda americana: dal copyright al fisco, dal diritto all’oblio alla richiesta di pubblicazione dell’algoritmo di Google emergente in Francia. L’Antitrust ha dato dieci settimane a Google per rispondere alle accuse con argomentazioni diverse da quelle offerte finora. Dunque non basterà a Google rispondere per esempio che definire la posizione dominante nella ricerca online non è facile perché gli utenti adoperano il motore di ricerca ma anche con i servizi verticali per lo shopping, i viaggi, l’informazione.
La quantità di osservatori soddisfatti di queste decisioni è proporzionale al crescente sentimento di rivalsa nei confronti delle piattaforme americane che stanno rivoluzionando molti mercati e mettendo a rischio un certo numero di rendite di posizione, ma trova l’appoggio di quegli innovatori europei che denunciano come l’estensione sempre più evidente del servizio di Google – dalla ricerca orizzontale tra i siti, alla ricerca verticale, soprattutto per l’ecommerce – metta a rischio molti servizi specializzati. Ma gli utenti che invece danno ragione alle piattaforme americane, da Amazon a Uber, da Apple a Facebook, segnalano un’altra realtà della quale sarebbe assurdo non tenere conto.
Di questa realtà si è fatto interprete Günther Oettinger, commissario Ue agli affari digitali, che ha denunciato come l’eccesso di dipendenza dell’Europa dalle piattaforme americane sia anche causato dalle molte occasioni perse dalle imprese europee in questo settore. Un parlamentare europeo come Renato Soru, fondatore di Tiscali, lo sostiene da molto tempo, descrivendo la materia come una questione centrale della geopolitica culturale ed economica europea e agendo da imprenditore con coerenza: la sua è una delle poche aziende europee che investe in un suo motore di ricerca, Istella, e valorizza l’antica competenza sviluppata dai ricercatori di Pisa in questo settore. La sua storia dimostra per lo meno che la mancanza di un motore di ricerca europeo non dipende dalla incapacità di realizzarlo. E del resto, in altri paesi la dominanza di Google non esiste: non solo in Cina e in Russia, ma anche in Corea del Sud, il motore dominante non è quello dell’azienda americana.
La battaglia antitrust con Google non può dunque essere il finale della storia. Anzi. E il vero terreno di prova riguarda la creazione del mercato unico digitale che la Commissione dovrebbe annunciare il 7 o l’8 maggio. La nuova regolamentazione dovrà vedersela con le lobby, europee e americane, come dovrà accettare il confronto con il Parlamento che ha già dato risposte forti per esempio sulla net neutrality. Ma la creazione di un mercato unico integrato e forte, con meno ostacoli alla crescita di imprese di scala europea, è un percorso altrettanto importante del contrasto alla dominanza delle piattaforme americane.
Articolo pubblicato sul Sole 24 Ore il 16 aprile 2015