Le regole su internet possono piacere o no ma non hanno mai una vita banale. Sono quasi tutte iscritte nel codice delle tecnologie, spesso nelle consuetudini delle persone, qualche volta nelle leggi delle istituzioni politiche. In genere si adattano al cambiamento attraverso percorsi intricati. Perché insistono su un sistema complesso nel quale le conseguenze previste si affiancano a ogni passaggio a quelle indesiderate. Sicché tendono a essere discusse a più livelli: sociale, tecnico, politico, giuridico, economico e così via. Con il risultato che spesso si bloccano da qualche parte nel percorso.
È il caso per esempio del sistema di identità digitale italiano che dopo aver fatto un bel pezzo di strada sui tavoli tecnici si è ingolfato al Tar. È il caso dell’armonizzazione fiscale per le multinazionali digitali. E per quasi ogni altra cosa. Un passo avanti è stato realizzato dai triloghi europei tra Commissione, Consiglio e Parlamento, che sono arrivati a una conclusione importante sulla net neutrality. Anche grazie al presidente americano Barack Obama, l’Europa ha compreso che internet non è internet se gli operatori possono discriminare i dati, le informazioni o le applicazioni che girano in rete. Ma intanto qualcuno aggira l’argomento inventando una nuova pratica discriminatoria: si chiama zero rating e, per esempio, consente agli operatori di concedere traffico gratis a chi si abboni a un particolare servizio di distribuzione di contenuti. Se è in esclusiva rischia di diventare discriminazione.
Occorre un insieme di princìpi, di natura costituzionale, come quello elaborato alla Camera dei Deputati dalla Commissione per i diritti in internet (presieduta da Laura Boldrini, animata da Stefano Rodotà e partecipata da deputati, esperti e chi scrive). Dopo le audizioni, la consultazione e l’analisi dei contributi, la nuova versione della Dichiarazione dei diritti in internet sarà presentata il 28 luglio alla Camera. Il suo futuro è tutto da scrivere. Ma il suo significato è reale: è un quadro di princìpi guida, nell’intrico dei codici, privati e pubblici, che governano la vita digitale. E ci sfida a fare un passo avanti nella consapevolezza.
Articolo pubblicato su Nòva il 26 luglio 2015