È un mandato esplorativo quello che le Generali hanno affidato alla Obi WorldPhone di John Sculley. La startup cofondata dall’ex ceo di PepsiCo e Apple ha scelto il suo destino: deve scoprire nuovi mercati. E li cerca lanciando smartphone di alto design e basso prezzo. Un’offerta cui spera che risponderanno i giovani clienti dei paesi emergenti, a partire dagli Emirati, per espandersi in Vietnam,Turchia, India, Indonesia, Filippine e oltre. Una nicchia enorme, potenzialmente, che i giganti dei telefoni intelligenti hanno per adesso trascurato e che per Sculley è formata da quel miliardo di persone che si stima nei prossimi tre anni passeranno dal telefono a basso costo e basse prestazioni a strumenti più performanti. Se ha ragione, anche le applicazioni ospitate a bordo dei suoi telefoni troveranno un vasto mercato. Generali intende andare a vedere: e per questo sviluppa un’app dedicata alle esigenze assicurative dei potenziali clienti di Obi. Di certo entra in un territorio che non conosce. Ma i giganti prudenti che si muovono soltanto sul sicuro coltivano la propria crisi. Meglio esplorare e rischiare. Che cosa imparerà?
La scommessa di Sculley è che i consumatori dei paesi emergenti, anche quando non hanno l’età e il reddito necessari a comprare uno smartphone di fascia alta, vogliono tutte le funzionalità garantite dai leader del mercato. E si affida al design della Ammunition e di Robert Brunner che ha collaborato con Sculley quando la Apple tentava la strada dei palmari con il suo glorioso – e sfortunato – Newton. «Vogliamo fare la differenza» dice Sculley «producendo apparecchi curati in ogni dettaglio: non devono essere solo belli, devono essere perfetti». E costare poco: il modello di prezzo massimo costa 249 dollari.
Chiaro che queste premesse sono interessanti, anche se quella di Sculley non è certamente l’unica azienda ad aver pensato che i margini di profitto dell’iPhone dimostrano l’esistenza di uno spazio di mercato che può dare soddisfazioni. In particolare, tra i competitori di Obi c’è la Xiaomi, un’azienda cinese che ha sfondato con i suoi telefoni a basso costo e li ha usati come piattaforma per vendere accessori e servizi. Una strategia che probabilmente ha ispirato quella di Sculley. E l’investimento che Obi fa con Generali sembra andare in quella direzione.
Generali si trova così in un contesto inabituale. Si troverà a vivere un’esperienza da startup in contesti di mercato nuovi e regolati in maniere diverse, puntando su una tecnologia che dovrà essere continuamente aggiornata e adattata al feedback che riceverà dai clienti. Dovrà privilegiare la facilità d’uso dell’interfaccia rispetto alle cavillosità dei formulari assicurativi tradizionali. Dovrà accettare la possibilità di compiere degli errori e apprezzare il valore di imparare come correggerli. Dovrà evolvere con il mercato che contribuirà a creare. Questa del resto è la sfida ormai nota della trasformazione digitale.
Che però non riserva solo difficoltà, ma anche nuove opportunità. Non solo tecnologiche ma anche specificatamente assicurative. Un esempio su tutti: accedendo ai dati di milioni di utenti sui telefoni di Sculley, la sua offerta potrà adattarsi ai comportamenti dei clienti giorno per giorno. Quella dei cosiddetti “big data” è certamente una competenza che le assicurazioni sono destinate a sviluppare, sia per gestire i livelli di rischio attraverso una conoscenza capillare dei movimenti quotidiani dei clienti , nel rispetto della privacy, sia per inventare nuovi servizi e mantenere elevato il valore aggiunto.
Un’azienda come Generali che accetta la sfida digitale e l’internazionalizzazione leggera ed esplorativa è di per sé una buona notizia, perché le dimensioni di questo gigante sono tali che la sua scelta è destinata a generare onde di innovazione nell’intero ecosistema italiano.
Articolo pubblicato sul Sole 24 Ore il 28 agosto 2015