Outsourcing. Un tempo era pensato per ridurre i costi necessari a eseguire le operazioni previste dal processo aziendale che non facevano parte del cuore competitivo dell’impresa. Ci si rivolgeva a un’azienda esterna, per esempio, per eseguire le procedure informatiche che servono alla gestione di paghe e stipendi, con l’obiettivo di massimizzare l’efficienza e contenere le assunzioni di personale fisso. Questa fase è superata. E le imprese che la vedono ancora così, perdono opportunità. Oggi, le società specializzate nel supporto informatico alle aziende tentano di fare un salto di qualità e di collaborare con i clienti per aumentare la loro capacità di generare valore. E la parola è diventata “sourcing”. Era prevedibile: il contenimento dei costi può produrre vantaggi di breve termine e comunque ha un orizzonte limitato alla quantità di costi che si possono tagliare: l’innovazione sposta i limiti del possibile e se ben concepita apre vasti spazi di crescita per il profitto delle imprese. Nessuna azienda può ragionevolmente possedere tutte le competenze necessarie a generare l’innovazione radicale che è necessaria per cogliere tutte le opportunità offerte dall’attuale dinamica dell’evoluzione tecnologica e, dunque, un’intelligente concettualizzazione dei rapporti con i fornitori, di beni e servizi, è quella che li pone in una condizione di partnership: una condizione nella quale si occupano insieme di generare innovazione e dunque valore. Una ricerca realizzata da Giovanni Vaia di Ca’ Foscari e Ilan Oshri dell’università di Londra, Loughborough, mostra come molte delle aziende italiane intervistate abbiano ben chiaro questo passaggio paradigmatico. E anzi, sorprendentemente, l’hanno più chiaro delle imprese britanniche. La tecnologia sfida le aziende a rinnovarsi. Il risultato non dipende dalla tecnologia, ma dalla cultura con la quale le imprese interpretano l’evoluzione tecnologica.
Articolo pubblicato su Nòva il 6 dicembre 2015