Poche controversie hanno acceso gli animi di avvocati, poeti e burocrati, quanto la discussione intorno all’“equità” del compenso per la copia privata – quella sorta di balzello che paga chiunque compri qualunque cosa che ha una memoria digitale, per compensare i detentori di copyright dall’ipotetica possibilità che vi si registrino le loro opere. Da ieri, grazie a una notizia arrivata dal Lussemburgo c’è una certezza che vale la pena di conoscere meglio: le imprese e le partite iva che comprano telefoni, chiavette usb, computer e altri materiali dotati di memoria digitale possono chiedere il rimborso del compenso. Lo dice pure la Siae: «l’attuale sistema di copia privata, già prevede che produttori e importatori possano astenersi dal pagare l’equo compenso semplicemente dimostrando che gli apparecchi sono ceduti direttamente ad utilizzatori finali per usi manifestamente diversi dalla riproduzione per uso personale». La Siae ha pubblicato questa nota dopo che l’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione europea, Nils Wahl, ha scritto che il sistema del compenso per la copia privata in Italia non garantisce chi compra materiali digitali per motivi professionali e non per registrarci sopra della musica o altro materiale soggetto a copyright. E ha aggiunto che il sistema italiano lascia troppa discrezionalità alla Siae. La Siae ha risposto «che non ha mai respinto una domanda di rimborso in quanto tardiva e che ha sempre rimborsato anche le persone fisiche munite di partita iva e che abbiano dimostrato di aver acquistato un apparecchio per usi professionali, manifestamente estranei alla copia privata». Il bilancio di previsione della Siae prevede che il compenso valga quest’anno 120 milioni di euro (erano 78 nel 2014). Se la Corte darà ragione all’avvocato, la Siae potrebbe dover rimborsare molti milioni raccolti indebitamente dal 2009 in poi e dei quali gli aventi diritto non hanno richiesto il rimborso. Ma già adesso sappiamo che d’ora in poi imprese e partite iva lo chiederanno: è la stessa Siae che le incoraggia.
Articolo pubblicato su Nòva l’8 maggio 2015