I progetti contengono i valori di chi li pensa e li realizza. O almeno questo è ciò che si vede nell’architettura di internet: i computer che gestiscono il traffico in rete, i router, ricevono e inviano pacchetti di dati leggendo i metadati con l’indirizzo di destinazione e l’ordine con il quale devono essere rimontati, ma non possono vedere che cosa c’è all’interno dei pacchetti. Per questo internet è una tecnologia favorevole alla libertà di espressione e alla libertà di innovazione. O almeno lo è stata finora. È una delle suggestioni che David Weinberger, filosofo della rete, ha regalato a chi ha seguito la sua lezione a Talent Garden, a Milano, un paio di giorni fa. I valori dei progettisti originari di internet si leggono nella soluzione architetturale che hanno definito: chi ha creato internet in quel modo lo ha fatto proprio perché credeva che fosse giusto che gli umani possano innovare ed esprimersi senza chiedere il permesso a chi gestisce la rete. Sembrava che la tecnologia internet fosse a prova di censura e a prova di potere. Ma la centralizzazione in poche piattaforme private della gran parte del traffico e soprattutto il controllo crescente esercitato dai governi, dice Weinberger, può far temere per i caratteri originari della rete. E in effetti la net neutrality è costantemente messa in discussione: il 6 giugno il Berec dovrebbe dare qualche indicazione sull’interpretazione da dare alle aree grigie che sono restate nelle norme uscite con le recenti decisioni della Commissione, del Consiglio e del Parlamento europeo in materia. Internet funziona anche perché si autodifende da chi vuole controllarla, ma fino a un certo punto. Oltre un certo limite, internet si difende se la popolazione che la usa, l’apprezza e la innova, si impegna anche per difenderla, facendosi sentire dai politici e dai burocrati, dalle multinazionali e dai banchieri o finanzieri. Come ogni ecosistema, anche la rete è delicata e può essere inquinata o ipersfruttata. È un bene comune. E come tale va salvaguardato e valorizzato con il contributo di tutti.
Articolo pubblicato su Nòva il 22 maggio 2016