Indispensabile. Eppure costretta a dimostrare la sua utilità. In un paese nel quale l’aggettivo “accademico” vuol dire “separato dalla realtà” piuttosto che (come dovrebbe essere) “di grande qualità”, l’università cerca la sua strada per contribuire a costruire il futuro. Riuscirà a definire il proprio avvenire soltanto comprendendo come possa servire all’avvenire della sua comunità di riferimento. Le condizioni a contorno stanno migliorando. In un certo senso. La comprensione politica della funzione fondamentale dell’università per una strategia di sviluppo è cresciuta negli ultimi anni in Italia. La stessa ripartenza della “politica industriale” sintetizzata nel programma dell’industria 4.0 all’italiana, lanciato dal ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda e dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, è per larga parte fondata sull’investimento nella ricerca universitaria. In un quadro di consapevolezza del valore della ricerca richiamato anche dalla strategia che ha portato allo Human Technopole di Milano. Ma questa riscoperta dell’università come risorsa per lo sviluppo ha ancora bisogno di spiegazioni. Che a questo punto è la stessa accademia a dover dare. Non solo registrando l’impatto dei suoi ricercatori nella valutazione dei pari, ma anche cercando l’impatto delle sue strutture nei confronti della società e dell’economia: la terza missione dell’università deve diventare parte integrante della sua valutazione. Anche perché la misurazione è un modo per raccontare e per stabilire degli obiettivi. Ma come dice James Redford del documentario scientifico, nell’articolo di taglio in questa pagina, anche la misurazione dell’impatto culturale e sociale dell’università deve ancora trovare le metriche giuste per la contemporaneità. Padova Nòva è un appuntamento di lavoro. Per trovare i motivi di questa valutazione. E appassionarsi alla ricerca di una soluzione. Che dovrà essere più aperta e meno burocratica di quanto sperimentato in passato.
Articolo pubblicato su Nòva il 29 settembre 2016