Il Parlamento europeo ha recentemente adottato un importante progetto legislativo, stabilendo che “la quota di rifiuti da riciclare dovrà aumentare dall’odierno 44 al 70 per cento entro il 2030. Estensione della vita del prodotto, rigenerazione, riuso, utilizzo di materie prime riciclate sono aspetti fondamentali che chiedono alle aziende di innovare processi e prodotti.
L’economia circolare sta diventando un must per le imprese di tutte le dimensioni.
Economia circolare: perché il nome deriva dai meccanismi presenti in alcuni organismi viventi in cui le sostanze nutrienti sono elaborate e utilizzate, per poi essere reimmesse nel ciclo sia biologico che tecnico. I sistemi economici quindi dovrebbero imitare questo concetto di “ciclo chiuso” o “rigenerativo”. Tra i vari approcci specifici ci sono anche l’ecologia industriale e la blue economy, ne nasceranno e ne staranno già ora nascendo altri.
L’idea dell’economia circolare è nata nel 1976 quando spunta in un rapporto presentato alla Commissione europea, dal titolo “The Potential for Substituting Manpower for Energy” di Walter Stahel e Genevieve Reddy.
Le applicazioni pratiche dell’economia circolare arriveranno su sistemi moderni e su processi industriali, solo negli anni ’70.
E’ un sistema economico in cui circolano idee di rigenerazione, di riciclo, di riuso. Tanti “ri” da capire perché non siano solo prefissi di verbi quotidiani riempiendo la bocca di chi non sa poi nella pratica cosa fare, come applicare nobili principi a un mondo in cui i bisogni concreti si fanno sentire.
Economia circolare nel settore rifiuti: si legge su www.ideegreen.it. “Secondo l’economia circolare i rifiuti sono “cibo”, quindi in un certo senso non esistono come rifiuti. Se intendiamo un prodotto come assemblamento di componenti biologici e tecnici, allora esso deve essere progettato in modo da inserirsi perfettamente all’interno di un ciclo dei materiali, progettato per lo smontaggio e ri-proposizione, senza produrre scarti. Rispettivamente, i componenti biologici in una economia circolare devono essere atossici e poter essere semplicemente compostati.
Quelli tecnici – polimeri, leghe e altri materiali artificiali – saranno a loro volta progettati per essere utilizzati di nuovo, con il minimo dispendio di energia”.
Nell’ottobre del 2016 a Rosignano fu firmato l’accordo – Comune,Rea,Sant’Anna, Cnr, Anci CCIAA e Cispel – per il progetto di rendere la discarica di Scapigliato (nella foto) il Centro Toscana per la Economia Circolare. L’iniziativa parte dalla Scuola Sant’Anna e dal progetto New deal 2.0 dell’agosto 2015, presentato nel 2016 alla commissione per lo sviluppo della Costa Toscana dal professor Paolo Dario.
A febbraio 2017 il progetto è stato presentato alla città dal Comune: “Ormai da un anno si è scelto di trasformare progressivamente Scapigliato in un impianto di selezione, trasformazione, recupero e potenziale re-immissione sul mercato del rifiuto come nuovo prodotto, seguendo la filosofia dell’economia circolare. Questo è il cuore del progetto “La fabbrica del futuro”, che entro il 2021 renderà la discarica un grande impianto di trasformazione dei rifiuti in nuova materia ed energia, e si realizzerà mediante tre interventi: la costruzione del Biodigestore a aerobico per il trattamento della Forsu (Frazione organica dei rifiuti solidi urbani) per la produzione di biometano e compost, la produzione di compost di qualità dagli sfalci e potature raccolti sul territorio servito da Rea Spa e la nuova linea di selezione dei rifiuti urbani e speciali non pericolosi di derivazione industriale per recupero e valorizzazione della materia”.
Domenica 14 maggio 2017, NOVA, il supplemento del Sole-24 ore, ha dedicato un ampio articolo di Elena Comelli alla discarica di Scapigliato che “si mette in mostra aprendosi al riuso”. La pattumiera nascosta diventa parco per tutti e centro di formazione. Il luogo diventerà da mero impianto per rifiuti a fabbrica del futuro in cui il tema del recupero della materia diventerà centrale come traino per inizative per lo sviluppo di una economia circolare legata al territorio.
A Scapigliato si seguirà il modello nordeuropeo che esibisce gli impianti di riciclo e di valorizzazione energetica dei rifiuti con architetti celebri come quello di Spittelau a Vienna con Hunderwasser, oppure quello di A.Bakke a Copenhagen con l’architetto Bjarke Ingels. Per Rosignano è stato incaricato Mario Cucunella – che sarà il curatore del padiglione Italia alla prossima biennale di architettura a Venezia – che scrive: “Dobbiamo far diventare belle queste fabbriche del futuro dove si celebra una nuova cultura per il recupero delle risorse e la protezione dell’ambiente”.
Comelli ci racconta di Eurelco, il consorzio europeo per lo sfruttamento minerario delle discariche ‘landfill mining'(vedi www.eurelco.orgo ed anche www.eurekomilano.it). Ecco alcuni dati: le quasi 500.000 discariche che si trovano in Europa sono nate quasi tutte prima della direttiva del 1999 e al 90 per cento non rispettano i criteri di protezione ambientale indicati. Forti rischi di emissioni inquinanti e di infiltrazioni nelle falde d’acqua. Il coordinatore del consorzio è Peter Jones dell’Univeristà di Lovanio, con l’aiuto del professor Raffaello Cossu dell’Univerità di Padova. Questi stimano che per la messa a norma delle discariche più pericolose siano necessari circa mille miliardi di euro. Tra l’altro l’Italia ha pagato a Bruxelles già 230 milioni per multe a seguito di procedure per infrazioni.
Scrive Jones:” Trasformare le discariche in miniere potrebbe far risparmiare all’Europa quanto necessario per le bonifiche ambientali, oltre a farci guadagnare una nuova preziosa fonte di approvvigionamento di materiali”. L’ampliamento del Polo Tecnologico di Scapigliato ha tuttavia già suscitato critiche di parte dei cittadini di Rosignano Marittimo, che si sono costituiti in comitato e hanno incontrato in un’assemblea pubblica i dirigenti della società che gestisce l’impianto, chiedendo assicurazioni sulla salvaguardia della salute degli abitanti e sul mantenimento dell’integrità ambientale.
Ruggero Morelli
Caro Morelli
Il tema che solleva va sottolineato. La produzione e il consumo erano un tempo pensati come disposti su una linea diritta che andava dall’input all’output e che nel percorso generava “esternalità ambientali negative” delle quali altri si sarebbero dovuti sobbarcare l’onere: oggi sono internalizzate nel sistema produttivo e ne modificano il progetto imponendo di ripensare tutto in chiave di sostenibilità. E non come aggravio di costi ma come ulteriore generatore di valore. L’economia industriale si è adeguata alla nuova consapevolezza ambientale e la cultura della sostenibilità ha creato ricchezza. I vincoli si sono trasformati in opportunità, in un’ottica orientata al lungo termine. Ebbene: si può prendere l’esempio del salto culturale che è avvenuto nella relazione tra produzione e ambiente – ancora peraltro incompleto – per ridefinire alcuni problemi tipici di sistemi che un tempo erano considerati lineari e oggi sono intesi come sistemi complessi: lo sviluppo territoriale, per esempio, oppure le tecnologie abilitanti per gli ecosistemi dell’innovazione o, persino, l’informatica per la pubblica amministrazione, per la quale il concetto di “riuso” è entrato nel lessico progettuale quotidiano, in attesa di diventare anche pratica normale.
Rubrica pubblicata sul Sole 24 Ore il 3 giugno 2017