Gentile De Biase,
innanzitutto complimenti per l’iniziativa. Un dibattito pubblico su questi temi nel nostro Paese serve come il pane!
Questo il mio punto di vista sulla paura che spesso si ha della tecnologia: la tecnologia fa paura soprattutto perché smaterializza e disintermedia. Si tratta di due caratteristiche che in sé e per sé non hanno nulla di negativo, anzi consentono a ciascuno di noi di estendere il proprio raggio d’azione sul mondo.
Chi scrive è cieco dalla nascita e potrebbe passare ore a raccontare come la tecnologia, smaterializzando molte attività e disintermediando molti processi, sta rendendo le persone con handicap sempre più “abili” nel compiere numerose azioni in autonomia.
Quello che dovrebbe spaventarci è uno scenario in cui la tecnologia prenda il posto dell’uomo nell’analizzare la realtà e prendere delle decisioni. Ma, al contrario di quanto si possa pensare, siamo molto lontani da uno scenario simile, che forse non si realizzerà mai. L’intelligenza artificiale, nelle applicazioni che abbiamo visto finora, si limita a mettere insieme dei pezzi (tanti pezzi certo, molti più di quelli che il cervello umano riuscirebbe a prendere il considerazione) e, sulla base di logiche predeterminate, a prendere decisioni in fretta (molto prima di quanto farebbe l’uomo) e senza condizionamenti emotivi. Ma l’uomo è in grado di fare molto più di questo: basti considerare il metapensiero, il ragionamento astratto oppure un elemento cruciale come la volontà, tutti aspetti che nell’intelligenza artificiale figurano solo in minima parte.
Perché ci preoccupiamo allora? Perché la tecnologia si sta sostituendo a noi nel compiere molte azioni a cui eravamo tanto affezionati ma dal valore aggiunto scarso o addirittura inesistente. La tecnologia comincia a sostituirsi a noi anche nell’elaborazione del pensiero semplice, quello che bene o male sappiamo formulare tutti.
In sostanza, la tecnologia ci sta sottraendo quello in cui ci sentivamo bravi, lasciando a noi solo attività e pensieri complessi e mettendo così a nudo la debolezza dell’uomo comune: tutti infatti saremmo in condizione di compiere quelle attività e formulare ragionamenti anche molto complessi ma solo in pochi, per varie ragioni che non sto qui ad analizzare, possono davvero farlo.
In conclusione la tecnologia, nel ridurre quelli che oggettivamente per noi rappresentano dei limiti come non vedere, non sentire o non camminare, ci sta ponendo di fronte ai nostri veri limiti… E questo, inconsciamente, ci fa paura.
Buon proseguimento!
Luca Spaziani
Twitter: @luspaziani
Caro Spaziani
la sua testimonianza è tanto più importante quanto più rilevante è la difficoltà che dimostra di aver saputo affrontare con successo. E la ringrazio profondamente di averla condivisa. Ma il suo ragionamento vale indipendentemente dal dato biografico. In sostanza lei suggerisce di guardare alla tecnologia come a una sfida culturale e psicologica. E suppone che la si possa vincere. Coltivando consapevolezza e forza mentale. Il che è fondamentale. Le conseguenze della tecnologia sono nel progetto che la precede. E quel progetto è portatore dei valori, delle priorità, del senso civico, ecologico, economico e sociale degli umani che l’hanno scritto. Aver paura della tecnologia significa aver paura degli umani.
Rubrica pubblicata sul Sole 24 Ore il 15 luglio 2017