Geocyber

Il palazzo del General Security Directorate a Beirut in Libano è considerato il posto da dove è stato lanciato un sistema di spionaggio che ha interessato le popolazioni di oltre venti paesi: a quanto pare, le spie hanno modificato le app di Whatapp, Signal, Telegram in modo tale che agli occhi degli utenti funzionassero normalmente mentre invece servivano anche a registrare a loro insaputa audio, localizzazione, foto e altri scambi di messaggi. Lo ha rivelato uno studio di Electronic Frontier Foundation e Lookout. Chi usava quelle app doveva rispondere positivamente a una di quelle tipiche richieste di permesso che gli utenti accettano senza controllare: sicché si trovavano a usare sistemi di messaggistica che in realtà consentivano agli agenti segreti di controllare tutto di loro e dei loro ignari corrispondenti. La questione geopolitica della rete cresce ogni giorno di intensità. Questa settimana, il primo ministro svedese – nel quadro dell’acceso dibattito che si sta sviluppando nel suo paese sull’opportunità di prepararsi alla difesa da possibili attacchi russi – ha annunciato un piano per contrastare la disinformazione e la propaganda nemica online. Intanto, negli Stati Uniti, l’Nsa sta chiedendo al Congresso, con l’aiuto di alcuni parlamentari, il permesso di estendere la sua opera di sorveglianza di massa per altri sei anni. E altre nazioni – democratiche e non democratiche – stanno lavorando per usare la rete ai loro fini geopolitici, spionistici o militari. Tutto questo, insieme all’opera dei criminali che sfruttano le falle nella cybersicurezza dei sistemi digitali, ai venditori di fumo, ai cercatori di click facili a base di messaggi ideologicamente orientati a soddisfare gli istinti più bassi o i preconcetti più radicati, sta mettendo la rete a dura prova. I venditori di soluzioni facili sono a loro volta dei fake. Ma tutto parte dalla conoscenza dei fatti. E questi, purtroppo, lo sono.
Rubrica pubblicata su Nòva il 21 gennaio 2018