Caro De Biase
Per essere un’esperienza efficace ed educativa a largo spettro la scuola ha bisogno di contenere leve formative di varia natura ed in questo ritengo sia concentrata l’immensa difficoltà del fare scuola in modo ‘nuovo’. Siamo circondati da istituzioni scolastiche piene di intelligenza individuale che tuttavia spesso mostrano stupidità collettiva nei modi, nei programmi formativi ed inesorabilmente poi nei risultati. Io sogno una scuola che persegua ed alimenti l’intelligenza collettiva. Mi chiedo perché, se intervistiamo 100 ragazzi tra i 12 ed i 15 anni sul tema ‘scuola’, l’aggettivo più frequente nelle loro risposte probabilmente sarà “noiosa”. Ancora, perché appena assunti (quando la sorte gli sorride) i neo-laureati freschi di anni di studio devono a vario titolo ed in vari modi, seguire ancora un ulteriore periodo di formazione all’interno del mondo del lavoro che la scuola non gli ha fornito? Con le tecnologie a disposizione oggi, mi piace sognare una scuola in cui si studi come lavorare bene in futuro, come avere le giuste motivazioni, come capire quali saranno i veri obiettivi nella vita e come perseguirli con serietà ed abnegazione. Io sogno una scuola così.
Roberto Zane
Caro Zane
Il suo intervento è profondamente condivisibile. Ma vorrei allargare il tiro. Secondo un sondaggio internazionale della Gallup, tra coloro che lavorano nel mondo, solo il 13% è soddisfatto e completamente coinvolto nei compiti che deve svolgere professionalmente (in Italia il 14%): gli altri sono annoiati, contrariati e delusi dal lavoro, in varie gradazioni di insoddisfazione. La disaffezione dei ragazzi per ciò che fanno a scuola si inserisce dunque in un contesto nel quale probabilmente molti docenti sono poco coinvolti in quello che fanno e ciò avviene in un periodo in cui tutto il resto della società dichiara a larga maggioranza la sua insoddisfazione lavorativa. Il sondaggio può essere anche criticabile (quale ricerca campionaria è esente da problemi in questo complicato periodo storico?), ma pur tenendo conto dei possibili errori nelle percentuali, offre un’immagine particolarmente problematica sulle motivazioni delle persone nella nostra società. Occorre evidentemente cambiare qualcosa di profondo: nella narrazione prospettica che la società riesce a elaborare su sé stessa, nella relazione tra aspettative e realtà (riducendo la tendenza dei ceti dirigenti a promettere troppo di più di quello che possono mantenere), nella conoscenza empirica e metodologicamente avvertita su come stanno le cose, nella consapevolezza dell’importanza dell’educazione e della scuola, che va molto oltre l’addestramento per un mondo del lavoro che sta mutando profondamente e che riguarda la preparazione a una vita da cittadini consapevoli di un’epoca complessa.
Rubrica pubblicata sul Sole 24 Ore il 30 marzo 2018