«No. Abbiamo sempre fatto così, perché cambiare?». L’obiezione ammazza-innovazione che prima o poi chi propone un’idea nuova in azienda è costretto a sentir pronunciare non è l’unica. Ivan Ortenzi, nel suo “Innovation manager” (FrancoAngeli 2018) ne ha raccolte 160. Ce ne sono per tutti i gusti. Quelle di chi si vede in una situazione tanto tragica da non poter pensare all’innovazione: «Siamo in una fase di taglio dei costi». Quelle di chi preferisce procrastinare, scegliendo ciò che è urgente rispetto a ciò che può essere importante: «Ho troppe cose da seguire adesso». Quelle che puntano al pessimismo tecnologico: «No! È impossibile». Di fronte a una frase come questa, ripetuta da tutti gli studi di ingegneria ai quali si era rivolto per realizzare un simulatore di guida destinato alla progettazione di auto da corsa, Andrea Pontremoli, amministratore delegato della Dallara, ha scelto di cercare ingegneri neo-laureati ai quali affidare il compito. Risultato: «Non sapevano che era impossibile. E ci sono riusciti».
Già. In tanti parlano di innovazione. Ma nei fatti gli ostacoli sono enormi. Spesso sono essenzialmente culturali: la velocità del cambiamento e la complessità del contesto sono una sfida continua alle specializzazioni tradizionali e ai sistemi formativi nati nell’epoca lineare dell’industrializzazione. Forse, ancora più spesso sono ostacoli sociali: l’organizzazione di un’azienda o di un’istituzione tende a generare convenzioni e abitudini che per quieto vivere o per timore non vengono messe in discussione volentieri. Eppure, l’innovazione è necessaria per sopravvivere in un contesto di grande trasformazione.
Ortenzi, che è chief innovation evangelist di Bip, è convinto che per rispondere a queste difficoltà occorra pensare alla figura dell’innovation manager. Per il libro, ne parla con i protagonisti e teorizza con piglio pratico. In un contesto nel quale la quantità di sollecitazioni in materia è gigantesca, la sintesi è preziosa. La sua definizione di innovazione: «La capacità dell’azienda di trasformare le idee nuove in valore». La sua definizione di ricerca e sviluppo: «La capacità dell’azienda di trasformare gli investimenti in idee nuove». Ovviamente ci sono vasti ambiti di ambiguità in queste parole, ma le proposte di Ortenzi aiutano a distinguere, tra le molte novità che competono per conquistare attenzione, quelle che possono essere chiamate “innovazione”. Anche perché l’innovazione non è nella tecnologia, ma nella sua adozione: il momento innovativo è nell’incontro di un’idea nuova, anche incarnata in una tecnologia, e di una situazione – economica, sociale, culturale, organizzativa – che la comprende e la fa propria, cambiando di conseguenza comportamenti e abitudini, in un modo che genera valore.
Di conseguenza, anche la parola management cambia. O meglio recupera il suo senso originario. Non è una mera gestione. È soprattutto un’interpretazione. Si tratta di leggere il momento storico, le risorse disponibili, le tecnologie applicabili, il progetto proponibile e il carattere della comunità alla quale viene proposto, i modi con i quali i soggetti coinvolti possono comunicare e collaborare, i risultati emergenti dal punto di vista contabile e la visione della prospettiva che ne viene fuori. Sapendo che i valori che sottendono i progetti sono parte integrante del loro possibile successo.
Articolo pubblicato sul Nòva il 16 settembre 2018