Una sorta di ideologia elettronica, un’”edeologia”, è fisiologica nelle fasi iniziali della storia di una tecnologia di rete. Quando quella tecnologia non è ancora stata adottata massicciamente non ha molto valore, come un fax solitario o un social network con un abitante soltanto. In quei momenti, presentare la tecnologia come una soluzione salvifica che cambia il mondo – dando per scontato che il cambiamento sarà positivo – è un approccio ideologico ma non fine a sé stesso: è sostanzialmente parte dell’ingegneria necessaria a far decollare quella tecnologia. Anche perché il successo in questo contesto avviene in un sistema complesso, nel quale la tecnologia deve conquistare utenti per acquisire il momentum che serve a convincere gli investitori e ad attrarre i talenti necessari a renderla sempre migliore. Travis Kalanick e i suoi soci di Uber, nei primi tempi, hanno presentato l’azienda come il campione del mercato concorrenziale, in opposizione alle corporazioni privilegiate e inefficienti, alimentando il consenso degli utenti necessario a convincere gli investitori a finanziare lo sviluppo della piattaforma. Al momento dello sbarco in borsa, per conservare il consenso degli utenti e convincere gli investitori, Mark Zuckerberg ha fatto particolarmente ricorso a un’ideologia: con il social network si cambia il mondo migliorando le comunicazioni tra le persone. Tutto abbastanza normale.
Il problema è quando questo genere di “promessa” diventa la prospettiva fondamentale di una civiltà. Il problema è quando si trasforma nell’ideologia che tenta di governare la storia. Secondo Mauro Magatti, autore di “Oltre l’infinito” (Feltrinelli 2018), dopo la politica e la religione, anche la tecnica – un insieme complesso di mercato autoregolato, finanza, tecnologia e molto altro – si è candidata a essere la dimensione guida dell’umanità. Nella sua essenza, la tecnica dichiara di essere il luogo culturale che produce nuove possibilità. Tutte le nuove possibilità. Non solo perché le prossime versioni di una tecnologia sono sempre migliori delle precedenti. Ma anche perché il progresso è inarrestabile e produce la crescita delle risorse necessarie ad aprire sempre nuove possibilità. E quindi la logica dello sviluppo tecnico diventa la logica dello sviluppo tout court. La policy deve limitarsi ad abilitare lo sviluppo di nuove possibilità. E ogni possibilità deve essere vagliata. La scelta qualitativa relativa a ciò che è giusto diventa un argomento fuori tema. Salvo poi pensarci più tardi: quando i problemi saranno eventualmente esplosi. Come avviene oggi con le piattaforme concentrate su modelli di business basati esclusivamente sulla pubblicità, che quindi incentivano azioni orientate solo a raccogliere attenzione, senza curarsi della qualità dei contenuti che la suscitano. In un simile contesto l’informazione di bassa qualità diventa una sorta di esternalità negativa del modello di business da affrontare successivamente. Un diverso approccio, ecologico, consapevole dei limiti che rendono sano il possibile, servirebbe per prevenire queste derive. Ma la discussione intorno a questo modo di pensare è ancora acerba.
Articolo pubblicato su Nòva il 18 novembre 2018