In quel “suq” dell’attenzione che per molti è diventata internet, un ecosistema mediatico nel quale la compravendita dello spazio per la pubblicazione è stata sostituita dalla conquista e dalla difesa del tempo del pubblico, con un enorme quantità di aspiranti protagonisti del prossimo quarto d’ora di notorietà, la virtù del discernimento è probabilmente diventata la risorsa culturale strategica. Gli algoritmi messi in campo dalle principali piattaforme per aiutare i singoli utenti a separare il grano dal loglio hanno un’architettura insufficiente, visto che organizzano l’informazione secondo uno schema di personalizzazione del tipo “ciò che è stato interessante, lo sarà”. Le conseguenze di tutto questo sono note: eccesso di velocità nella lettura, riduzione del senso critico nella condivisione, aumento del tempo passato in “bolle di credenze”, ricerca di conferme ai propri pregiudizi, restrizione dello spazio pubblico, e così via. Molto spesso questi fenomeni emergono in contesti mediatici che favoriscono l’autoreferenzialità cognitiva. Il discernimento, in effetti, si coltiva trovando metodi di valutazione delle conoscenze indipendenti dai sistemi con i quali vengono prodotte e scambiate. La scienza, da questo punto di vista, è identitariamente il suo metodo, sofisticatissimo, di valutazione delle conoscenze in una comunità di esploratori dell’ignoto. Ma la scienza non è immune dallo spirito dei tempi. Giuseppe Tipaldo condivide il problema e analizza i percorsi di soluzione nel suo recente libro, “La società della pseudoscienza. Orientarsi tra buone e cattive spiegazioni” (Il Mulino 2019). Due grandi filiere di “emozioni” potenti, immesse nei canali mediatici autoreferenziali oggi prevalenti, sembrano alimentare altrettanti atteggiamenti irrazionali nei confronti della scienza: da una parte, quelli di chi accetta convinzioni non provate per sostenere il rifiuto di qualunque novità possa modificare il proprio territorio o il proprio corpo; e dall’altra parte quelli di chi accetta qualunque soluzione pseudoscientifica possa dare la speranza di risolvere problemi emotivamente coinvolgenti per i quali la medicina e la scienza ufficiali non sembrano sufficienti. Olio di palma e carne rossa, Stamina e vaccini, ricorda Tipaldo, sono argomenti intorno ai quali il razionale metodo scientifico si trova messo a dura prova da forme emotive di produzione di informazioni che raggiungono più la pancia che la testa delle persone.
Niente di tutto questo è nato con la rete e con i social media. Ma l’impatto di queste dinamiche è aumentato molto nel contesto mediatico che sulla rete si è sviluppato. Per ora. Un processo di riqualificazione della conoscenza diffusa si rende necessario. La valutazione delle informazioni in base a criteri non autoreferenziali diventa un’esigenza urgente e importante.
Anche l’atteggiamento da tenere nei confronti di tutto questo va deciso in base a una forma innovativa di discernimento. Le lamentazioni sempre più convenzionali che si stanno diffondendo in relazione alle piattaforme digitali prevalenti non hanno senso se conducono a sperare in un ritorno al passato. Ma possono essere premessa di un ulteriore salto culturale. Che avverà non negando ciò che è stato costruito. Ma costruendo qualcosa di meglio. La critica senza le alternative rischia, dopo un po’, di diventare sterile.
Articolo pubblicato su Nòva il 19 maggio 2019