Il forte ritardo dell’Italia nel raggiungimento degli obiettivi della sostenibilità sui quali si era a suo tempo impegnata adottando l’Agenda 2030 dell’Onu, dimostrato dal rapporto ASviS 2019, non è un’eccezione in giro per il mondo. Sono purtroppo eccezionali i paesi che riescono a implementare le loro policy in sincronia con la roadmap delle Nazioni Unite. Tuttavia l’instabilità climatica, sociale ed economica che l’umanità nel prossimo decennio può affrontare o subire è una realtà che non si ferma e non si può più rimuovere. È tempo di passare all’azione, dice l’ASviS, dichiarando che «è necessario modificare significativamente le politiche pubbliche, nazionali ed europee, le strategie aziendali e i comportamenti individuali». Vasto e sacrosanto programma. L’Onu è sulla stessa lunghezza d’onda. «Ogni scelta ha un costo. Ma il costo maggiore è quello di non fare nessuna scelta» ha detto il segretario generale dell’Onu António Guterres. Per la verità, decine di stati e alcune alleanze di grandi multinazionali hanno annunciato il loro rinnovato impegno, proprio nei giorni in cui l’Onu concentrava l’attenzione del mondo sulla sostenibilità e un movimento globale di giovani preoccupati per l’ecologia planetaria si faceva notare da tutti.
Una chiosa è necessaria. Data la distanza tra la crescente e concreta urgenza di azioni energiche per reindirizzare il sistema e la lentezza con la quale gli umani riescono a riadattare il sistema, ci deve essere qualcosa di poco chiaro da qualche parte. Forse, per diventare più presente nell’operatività quotidiana, l’idea di sostenibilità ha bisogno di una dimensione in più: e riguarda il sistema mediatico. La comunicazione così com’è non è sostenibile. Nel contesto mediatico attuale, l’attenzione si consuma velocemente. E chi la vuole conquistare o mantenere deve esercitare sforzi sempre più grandi solo per non vederla scemare. Se i media non vengono considerati come un ecosistema e restano pensati come tecnologie di trasmissione, anche l’attenzione sull’ambiente ha breve durata. Ma la sostenibilità ha bisogno di tempo: la sostenibilità è durata. Ebbene: l’idea di sostenibilità deve essere integrata per tener conto del fatto che il sistema mediatico funziona come un ecosistema, è parte dell’ambiente, incide sulla cultura, sul coordinamento delle comunità, sul senso civico delle persone. Se il mezzo è il messaggio, per comunicare la sostenibilità il sistema mediatico deve essere sostenibile. L’ecologia dei media converge nell’ecologia tout court. Quando il ceo della Apple Tim Cook, stringendo la sua alleanza con l’Osservatorio giovani-editori, osserva che la questione delle fake news non si affronta per via tecnologica ma alimentando il senso critico e civico delle persone, anche valorizzando un’opera di lettura e discussione dei giornali nelle scuole, fa un discorso ecologico. Ed è altrettanto ecologico quando dice: «Se passate più tempo a guardare i vostri smartphone che gli occhi della gente, sbagliate». L’ecologia dei media è implicita nell’Agenda 2030. Ma renderla esplicita sarà d’aiuto. L’attenzione per la sostenibilità non può più essere momentanea: deve diventare parte integrante del normale approccio alle grandi scelte della comunità. Può diventare anche la cifra della nuova Commissione europea. Un mezzo, come per esempio l’equilibrio di bilancio, non va confuso con un fine, come lo sviluppo sostenibile.
Articolo pubblicato su Nòva il 6 ottobre 2019