È un po’ come risolvere il problema dei tre corpi. Se si deve navigare in un sistema gravitazionale con tre grandi corpi si devono fare calcoli di grande complessità. Tutti gli elementi in gioco sono fondamentali, ciascuno interagisce con gli altri, l’incertezza è evidente, ma la traiettoria deve essere quella giusta. Leonardo, uno dei giganti della tecnologia italiana, deve navigare efficientemente tra mercati globali esistenti e complicati, deve tenere il passo dell’aggiornamento dei suoi prodotti in un contesto in veloce trasformazione non solo per sincronizzarli alle dinamiche tecnologiche ma anche per adeguarli agli obiettivi ineludibili dettati dall’agenda per la sostenibilità e, infine, deve esplorare ogni possibilità di innovare per generare tecnologie che possano creare nuovi mercati. Roberto Cingolani, il nuovo direttore della tecnologia e dell’innovazione di Leonardo, ha disegnato una rotta. Prevede la creazione dei Leonardo Labs e un percorso che sarà già operativo nel 2020, almeno per Genova e Napoli. Qualche centinaio di dottorati e postdoc entreranno in laboratori guidati da ricercatori esperti dotati di infrastrutture di ricerca di primo livello, come il supercomputer che sarà installato a Genova. I temi di ricerca? Big Data, calcolo ad alte prestazioni e simulazione, intelligenza artificiale e sistemi autonomi, tecnologie quantistiche e crittografia, mobilità elettrica, materiali e strutture. I laboratori si troveranno presso i principali siti produttivi del gruppo, avranno un respiro internazionale, un modo di funzionare orientato ai risultati, forte connessione con la produzione, un chiaro orientamento all’open innovation. L’amministratore delegato di Leonardo, Alessandro Profumo, ci vede una strategia per la crescita, che serve ad attirare talenti, soddisfare la domanda di mercato e creare innovazione che genera nuova domanda. Cingolani ha progettato i Leonardo Labs come «strutture di ricerca centrali incaricate di lavorare su programmi di frontiera nel medio-lungo periodo, trasversali alle aree di business aziendali, in grado di sviluppare le tecnologie del futuro e anticipare la domanda del mercato». Se qualcuno si domandasse perché non ci fossero prima, questi laboratori, in un’impresa tanto tecnologicamente avanzata, dovrebbe trarne anche una buona indicazione per il futuro: assistiamo a una trasformazione di paradigma per un’azienda che da produttore tecnologicamente avanzato diventa innovatore e quindi accetta l’incertezza tipica della ricerca: «Intercettiamo i motori del cambiamento, teniamo conto di un parametro chiave come la sostenibilità, cerchiamo idee concrete e nuove. Ovviamente non siamo certi che ogni idea conduca a un prodotto. Ma siamo certi che se non facessimo questa ricerca non troveremmo niente».
Un’azienda importante come Leonardo può generare un indotto culturale importante in Italia con una strategia come questa. Parte in un contesto che potrebbe essere reso anche più favorevole dall’avvio, finalmente, del fondo nazionale per l’innovazione, che sarà guidato da Enrico Resmini e presieduto da Francesca Bria: entrano in gioco in un ecosistema che anche nel 2019 ha accresciuto la sua capacità di attirare capitali, arrivando a quasi 700 milioni investiti in startup italiane, contro i 600 dell’anno scorso. Le buone notizie fanno bene in un contesto che fa di tutto per farle notare poco.
Articolo pubblicato su Nòva l’8 dicembre 2019