L’annunciata applicazione che deve servire a ottenere un tracciamento dei contatti delle persone infette dal coronavirus che ha generato la pandemia di Covid-19 non è ancora stata lanciata in Italia. Si tratta di un elemento potenzialmente importante della strategia di approccio alla “fase due”. Dall’attuale “fase uno”, caratterizzata dalla clausura generica di tutti gli abitanti del paese che serviva a contenere temporaneamente la contaminazione, ma causando un’epocale recessione economica, si esce con un complesso piano strategico che finalmente si è deciso di affidare alla task force che sarà guidata da Vittorio Colao. Al piano serviranno alcuni strumenti per operare un contenimento mirato: sondaggi, test sierologici, tamponi e, appunto, sistemi di “tracciamento” digitale dei contatti tra persone esposte al virus. Si spera così di poter distinguere tra chi deve restare confinato e chi può uscire. Il che è decisivo per consentire all’economia di riprendere a funzionare. Testimoni che preferiscono restare anonimi ci dicono che il sistema è pronto da un mese. La task force deI ministeri dell’Innovazione e della Salute l’ha selezionato da una settimana. L’applicazione è fatta più o meno come quella che è stata sviluppata in Germania, è migliore di quella di Singapore, garantisce la privacy, è volontaria, può essere utile per rintracciare le persone che hanno incontrato da vicino chi risulta positivo al virus. Ma il sistema non è ancora stato lanciato. Manca un coordinamento europeo. Manca una linea comune con le regioni: uno dei problemi sollevati da Antonello Soro, presidente del Garante per la protezione dei dati personali, in un’audizione alla Commissione Trasporti della Camera, nella quale ha discusso del tracciamento chiarendo che un sistema solidaristico, a base di bluetooth, pseudonimizzato, come quello finora ipotizzato potrebbe essere compatibile con le norme a tutela della privacy.
L’introduzione di strumenti per operare un contenimento intelligente dell’epidemia è importante. Un nuovo studio dimostra che la clausura generica non risolve il problema: un team di ricercatori di varie università – Antonio Scala, Andrea Flori, Alessandro Spelta, Emanuele Brugnoli, Matteo Cinelli, Walter Quattrociocchi e Fabio Pammolli – ha condotto una ricerca sui meccanismi di uscita dalla “fase uno”. Analizzati i dati sulla diffusione dell’epidemia dell’Iss e i movimenti delle persone registrati da Facebook, hanno visto che se non si applica una strategia innovativa, alla fine del lockdown l’epidemia con ogni probabilità riprende. Bisogna ammettere, osservando il caso di Singapore, che anche applicando le tecnologie di tracciamento per modellare in modo analitico le misure di contenimento l’epidemia può riprendere: il mondo iperconnesso non concepisce le enclaves separate. Del resto, il sistema di tracciamento può rilevare una prossimità ma non sa se c’è stato un contatto fisico, una vicinanza faccia a faccia senza mascherina, un incontro ravvicinato avvenuto al chiuso o all’aperto. È un rischio. Che impone ulteriore innovazione. Apple e Google hanno dichiarato una collaborazione per migliorare latecnologia di base per queste applicazioni. Ma la tcnologia non basterà. Dovrà essere pensata e guidata da menti grandi quanto la crisi che si è aperta.
Articolo pubblicato si Nòva il 12 aprile 2020