In un contesto come quello che si prepara per l’Italia uscita dalla clausura decisa per contenere l’epidemia di Covid-19, ma certamente non ancora uscita dalla conseguente crisi economica, tra le molte misure assistenziali tese ad affrontare gli stati di necessità generati dall’emergenza, spicca una misura orientata alla costruzione di futuro a base di innovazione. Il piano industriale del Fondo Nazionale innovazione è stato presentato ieri dai vertici della nuova istituzione, la presidente Francesca Bria e l’amministratore delegato Enrico Resmini, con il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli e con l’amministratore delegato di Cassa Depositi e Prestiti Fabrizio Palermo. Il piano serve ad accelerare la maturazione dell’ecosistema delle startup italiane e dimostra un approccio competente che può favorire la crescita di una miriade di piccole realtà imprenditoriali che, mentre esplorano territori economici e tecnologici meno battuti, costruiscono esperienza, alimentano la trasformazione e l’adattamento dell’industria ai motori del cambiamento e, potenzialmente, genera le grandi imprese del futuro.
In effetti, il Fondo Nazionale Innovazione è organizzato in modo da potersi occupare con strumenti specifici di tutta la filiera delle startup, dai primi passi delle aziende nate attorno ad idee credibili ma appena abbozzate alla crescita delle imprese più strutturate fino al lancio nel mercato mondiale delle società che hanno bisogno di round di finanziamento milionari. E tiene conto di tutto l’ecosistema, dalle università agli acceleratori, al venture capital e alle imprese tradizionali disposte a investire nelle startup per cercare nuovi mercati o rinnovare sé stesse. Proprio l’attivazione di una logica da ecosistema è fondamentale per dare corpo alla speranza dei vertici del Fondo, che parte con una dotazione di un miliardo, di attivare in realtà almeno 2,5 miliardi attirando altri capitali verso le imprese e i fondi di venture capital.
La politica economica favorevole alle startup è nata in Italia nel 2012, con il governo di Mario Monti, quando al Mise c’era Corrado Passera. Da allora è costantemente cresciuta a e maturata, con le oltre 11mila startup attualmente in attività nel paese. Ma la policy delle facilitazioni fiscali e burocratiche che ha reso l’Italia un paese un po’ più ospitale per le startup non aveva ancora affrontato il nodo più difficile: la disponibilità di capitali. La via italiana alle startup era fondamentalmente quella di trovare un po’ di soldi tra amici e parenti e sperare di arrivare presto a fatturare. Il periodo di investimento nell’innovazione, in condizioni di assenza di capitali, doveva essere necessariamente breve. Tra 2018 e 2019 era apparsa una correzione del problema con investimenti nelle startup italiane arrivati a superare i 600 milioni: il mercato rispondeva, anche se mancava una spinta politica che in altri paesi europei non mancava. Il Fondo, annunciato un anno e mezzo fa, e arrivato a presentare il piano industriale ieri è una risposta che finalmente ha un numero di zeri adeguato.
I nodi non mancano. La coerenza delle politiche per lo sviluppo delle idee e delle tecnologie che emergono dalle università, che questo governo ha deciso di sostenere anche con una fondazione in capo all’Enea preposta proprio al technology transfer, insieme allo strumento del Fondo Nazionale Innovazione dedicato alle spinoff universitarie, è un argomento che merita di essere approfondito, anche perché nel frattempo il ministero dell’Università sta scrivendo il Programma Nazionale della Ricerca. L’architettura delle relazioni con i fondi di venture capital esistenti e quelli in fase di creazione deve essere ancora ben descritta nel suo carattere accentrato o decentrato. Le fonti di finanziamento del Fondo, che certamente parte con dotazioni forti messe a disposizione della Cdp, sembrano in via di trasformazione rispetto a quanto annunciato un anno e mezzo fa. E l’adattamento delle strategie del Fondo di fronte ai cambiamenti dell’economia attivati dalle conseguenze del lock-down va approfondito. Enrico Resmini, di fronte a una domanda del Sole 24 Ore su questo punto, ha chiarito che la crisi ha dimostrato, se ce n’era ancora bisogno, l’importanza delle tecnologie digitali per la resilienza del sistema produttivo. E ha mostrato che sono proprio i settori che soffrono di più ad aver bisogno di modernizzazione tecnologica. Il Fondo aiuterà le startup capaci di contribuire all’innovazione di tutti i settori del sistema, sia per accelerare quelli che sono usciti rafforzati dalla crisi, sia per aiutare la riconversione di quelli che hanno penato di più. Il mondo delle startup era necessario prima. Ora è essenziale.
Articolo pubblicato sul Sole 24 Ore il 24 giugno 2020