La scena che si prepara al Congresso americano, quando nelle prossime settimane saranno interrogati i capi delle grandi compagnie digitali, potrebbe diventare iconica del confronto per il potere nel mondo attuale. Tim Cook, Jeff Bezos, Sudar Pichai e Mark Zuckerberg, rispettivamente ceo di Apple, Amazon, Google, Facebook, saranno chiamati a rispondere alle domande dei deputati che cercano di comprendere se le loro strategie stanno bloccando la competizione. I potenti del capitalismo digitale si troveranno a fronteggiare i rappresentanti del più grande potere politico del mondo occidentale.
La tecnologia digitale, interpretata come grande infrastruttura della globalizzazione finanziaria e commerciale, ha aderito alla complessità crescente del sistema economico mondiale, dapprima accelerandola ulteriormente e in seguito offrendo una modalità per gestirla: nata da un’architettura molto distribuita come internet, l’infrastruttura digitale è evoluta nel senso della centralizzazione, con poche aziende in grado di controllare la gran parte dei flussi di traffico e attenzione. Il libro di Alberto De Toni e Eugenio Bastianon, “Isomorfismo del potere” (Marsilio 2019) va letto anche per sviluppare una consapevolezza di come il confronto tra potere e complessità generi conseguenze di grande portata. Come spiega nell’introduzione l’economista Enzo Rullani, «il potere svolge in effetti una funzione ordinatrice in ambienti dominati da un alto grado di complessità», cioè in ambienti caratterizzati da una grande varietà di processi e relazioni in rapido cambiamento nel tempo, con forte interdipendenza degli elementi in gioco e grande incertezza sugli esiti delle azioni, anche per la forte libertà di movimento offerta agli attori in gioco. In questo contesto, il potere risponde, per De Toni e Bastianon, assumendo forme simili in situazioni diversissime, dalla scienza alla politica, dalla società all’economia. E quello che si osserva, dicono De Toni e Bastianon, è che la forma centralizzata del potere tende regolarmente a mostrare forti inefficienze, mentre le forme decentrate o addirittura auto-organizzate del potere fanno emergere soluzioni più adatte alla complessità. Le prospettive di una società dipendono da come si riesce a favorire l’innovazione che serve ad adattarsi al cambiamento e a coltivare una direzione che serve a dare senso al cambiamento.
È chiaro che la questione posta dal Congresso americano alle grandi compagnie digitali può servire a innescare una dinamica di decentralizzazione del potere economico nella tecnologia digitale. Altrettanto tenta di fare da parecchio tempo anche l’antitrust europea. Al momento ha preso in considerazione l’acquisizione di Fitbit da parte di Google, che potrebbe portare a un’ulteriore concentrazione della disponibilità di dati in ambito sanitario nelle mani del gigante americano. Ma la lunga serie di interventi antitrust europei, apparentemente decisa e talvolta dura, si è dimostrata molto meno che capace di influire sulla struttura sempre più concentrata del potere sull’internet Occidentale. Evidentemente la questione non si risolve per via tecnocratica. La via del confronto di potere al massimo livello è avviata. E sempre più chiaramente, ora entra in gioco la politica.
Articolo pubblicato su Nòva il 5 luglio 2020
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