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Nella retorica di Elon Musk c’è qualcosa di istruttivo. L’effetto che fa è piuttosto controverso: di fronte ai suoi annunci molti restano a bocca aperta e altri mostrano scetticismo. È successo anche recentemente, quando il fondatore di Tesla e SpaceX, oltre che di varie altre imprese, ha raccontato alla platea del “Tesla AI Day” della sua intenzione di produrre un robot umanoide. «Tesla è l’azienda di robot più grande del mondo» ha detto «perché le nostre auto sono robot su quattro ruote». Da qui, dunque, il passo è breve: «Il robot Tesla sarà una realtà e il prototipo sarà pronto l’anno prossimo».
Le numerose espressioni di ammirazione non sono mancate. Alcuni hanno fatto notare che tra l’annuncio e la realizzazione ci potrebbe essere la stessa distanza che c’è stata tra l’annuncio del camioncino Tesla, atteso dal 2017 e non arrivato, e del Robotaxi che avrebbe dovuto uscire in un milione di esemplari per la fine del 2020 ma che non si è palesato. Eppure questa differenza tra gli annunci e le realizzazioni non hanno di fatto messo in discussione la credibilità del miliardario sudafricano. Perché? Forse la risposta sta nel flusso di fatti che Musk ha fatto entrare nella sua biografia. I primi razzi di SpaceX invece di decollare sono scoppiati, ma a forza di sbagliare e imparare, alla fine, l’azienda è riuscita a realizzare una tecnologia affidabile. E anche per questo il pubblico favorevole a Musk pensa che la stessa sorte potrebbe toccare ad altre innovazioni da lui annunciate, come i chip da impiantare nel cervello o i supertreni. Insomma, i suoi annunci sono visti con entusiasmo dai suoi fan, anche quando non si materializzano, perché in fondo non sono decodificati come promesse tecnologiche ma come ipotesi scientifiche. Il che è molto diverso. Perché se le promesse tecnologiche sono disattese si può pensare che sia per incapacità di chi le ha formulate, ma se le ipotesi scientifiche non si dimostrano realistiche di fronte alla sperimentazione non si giudicano come insuccessi ma come passaggi del tutto normali del processo scientifico, comunque positivi perché fanno avanzare la conoscenza.
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Un sistema industriale e finanziario che sappia ammettere l’incertezza tipica del processo scientifico e i suoi apparenti insuccessi ha molte più probabilità di innovare di un altro sistema che rifiuti questa imprevedibilità. Perché accumula conoscenza e conquista sempre nuovi spazi di possibilità senza bloccarsi quando mancano i risultati immediati. Anche fissare la conoscenza in brevetti è un obiettivo meno che cogente, osservano Michael Heller e James Salzman su Harvard Business Review: perché la conoscenza non è un valore sclerotizzato in un momento, ma piuttosto un fenomeno dinamico che vive e si sviluppa nella complessità della storia. Quello che nell’epoca industriale poteva sembrare irrazionale, nell’economia della conoscenza è perfettamente logico.