L’intelligenza artificiale specialistica che funziona

Articolo pubblicato sul Sole 24 Ore e su 24+ il 7 settembre 2023 – per articoli strategici la ripubblicazione qui avviene dieci giorni dopo la prima uscita. 


A San Francisco, da meno di un mese, i taxi senza taxisti di Waymo e Cruise hanno la licenza per svolgere il loro servizio commerciale. Si prenotano, comandano e pagano con un’applicazione per il telefono. Negli stessi giorni, un’équipe di scienziati coordinati da Ludovic Bellier e Robert Knight di Berkeley ha pubblicato su Plos Biology un paper nel quale mostra come sia stato possibile ricostruire un brano dei Pink Floyd estraendolo dalle memorie registrate nel cervello di 29 pazienti. La registrazione è un po’ ovattata, ma la musica è chiaramente riconoscibile. Pochi mesi prima, a Hollywood, il ruolo di protagonista nel nuovo film della serie dedicata alle avventure dell’archeologo Indiana Jones era ancora una volta interpretato da Harrison Ford, anche se la sua età non era più quella di quando aveva interpretato il primo episodio. Eppure in alcune scene sembrava proprio ringiovanito. Questo e molto altro avviene contando su risorse informatiche sempre più potenti: nel secondo trimestre del 2023, le vendite di chip di Nvidia ai datacenter sono salite a 10,3 miliardi, una crescita di 6 miliardi rispetto al trimestre precedente, sostenendo i motivi che hanno convinto i mercati finanziari a riconoscere all’azienda una capitalizzazione di 1,2 mila miliardi di dollari. Questi fatti hanno un comune denominatore: l’intelligenza artificiale.

Quando si parla così tanto di una tecnologia, come è successo all’intelligenza artificiale nella prima metà del 2023, le motivazioni sono sempre una combinazione di innovazione sostanziale e manipolazione promozionale. Ma a differenza per esempio di quanto è accaduto al metaverso di un paio d’anni fa, la vicenda dell’intelligenza artificiale è composta molto più di innovazione vera che di chiacchiericcio. Anche se, per poterne cogliere le opportunità, è necessario imparare a distinguere tra le informazioni utili e le notizie che viaggiano sulle ali di un entusiasmo irrazionale. Perché questa tecnologia è diventata tanto importante recentemente? Che cosa motiva gli investimenti giganteschi che sono serviti a svilupparla? Quali rischi e quali opportunità alimenta? Che ragioni ci sono per regolamentarla?

L’intelligenza artificiale non è una scienza nuova. Il concetto è nato più o meno nell’agosto del 1956. In quel mese, un “dream team” di importanti scienziati e tecnologi si è riunito a Dartmouth, negli Stati Uniti: tra loro c’era Marvin Minski, che avrebbe vinto in seguito il Turing Award, Claude Shannon fondatore della teoria dell’informazione, Nathaniel Rochester, che aveva progettato l’IBM 701. Erano convinti che «ogni aspetto dell’apprendimento o di qualsiasi altra caratteristica dell’intelligenza possa essere descritto in linea di principio in modo così preciso da poter essere simulato da una macchina». E avevano deciso di realizzare questa macchina. Quasi settant’anni dopo, la loro visione è forse più concreta.Solo la Microsoft ha investito almeno 12 miliardi per sostenere le tecnologie di OpenAI. Google (Alphabet) e Facebook (Meta) si sono impegnate con risorse gigantesche. Amazon e Apple non sono state ferme. E la Cina avanza, nonostante le difficoltà geopolitiche.

Le novità tecniche sono molte. Oggi l’intelligenza artificiale si avvale dell’esperienza fatta con le reti neurali e con la statistica avanzata, conta sulla potenza di calcolo dei nuovi microprocessori specializzati, sviluppa il riconoscimento delle immagini e i processi di apprendimento che le macchine riescono a realizzare usando l’enorme quantità di dati disponibili su internet. Negli ultimissimi anni, l’accelerazione è arrivata dalle nuove tecniche di trattamento del linguaggio, come i modelli chiamati Generative Pre-trained Transformer (GPT). In effetti, il linguaggio è la tecnologia essenziale per la gestione della conoscenza umana. Qualsiasi contenuto registrato può essere usato per allenare i grandi modelli linguistici. Sicché, quei modelli ottengono risultati straordinari trattando come linguaggio le attività di scrittura dei testi, di creazione di immagini, di produzione di software, di composizione di musica.

L’uscita di ChatGPT sul finire del 2022 è stata una specie di colpo di fulmine. Cento milioni di persone l’hanno provata subito. La curva dell’entusiasmo si è impennata. Pochi mesi dopo, però, le cronache davano conto dei suoi difetti: ChatGPT commetteva errori, si poteva esprimere in modi socialmente inaccettabili, era soggetta a pregiudizi culturali. Gli stessi produttori ne denunciavano la pericolosità. E le autorità pubbliche a Bruxelles e a Washington acceleravano nella produzione di nuove regole. Volevano limitare i rischi per la privacy, per la salvaguardia del copyright, per la qualità e quantità dei posti di lavoro, per la diffusione di fake news. L’entusiasmo si è placato. Secondo un’inchiesta del Washington Post, ChatGPT ha perso il 10% degli utenti nel giugno scorso. Del resto, secondo il Wall Street Journal, il motore di ricerca Bing della Microsoft, migliorato con una versione di ChatGPT, non è riuscito a scalfire la leadership di Google. Si è insomma rivista la classica curva dello “hype” osservata dalla società di ricerche Gartner: prima una fase di entusiasmo, poi da una discesa della credibilità, infine la stabilizzazione sul livello che corrisponde al suo valore d’uso. Siamo a questo punto. L’intelligenza artificiale non è un fuoco di paglia. E i suoi miglioramenti tecnici si annunciano decisivi. La prossima grande novità (in GPT-6) sarà l’aggiunta di un modulo cognitivo dedicato al controllo logico dell’output.

Di fatto, è stata creata una nuova interfaccia per usare il digitale. Ma va letta criticamente: sarà un grande assistente, non deve diventare un pessimo padrone.

Questo significa molto meno sostituire i lavoratori che riqualificarne la professionalità. Una recente ricerca dell’Ocse ha mostrato come l’intelligenza artificiale interessi soprattutto le professioni con alto tasso di competenza e ha registrato un’accoglienza positiva da parte dei professionisti che la ritengono più un aiuto che un competitore. Ma si segnalano cambiamenti nei ruoli professionali. Gli esempi non mancano. I radiologi non sono sostituiti, ma hanno a disposizione strumenti analitici più potenti. Gli avvocati possono accedere più facilmente agli archivi. Persino nell’educazione ci sono novità. Paolo Granata, specialista di media ecology all’università di Toronto che ha creato un corso usando l’intelligenza artificiale, pensa che si ridefinisca il ruolo dell’insegnante umano: «Il docente non è l’addetto a trasmettere il sapere: diventa il designer dell’esperienza formativa». In generale, quello che conta è imparare a fare le domande, i prompt, che avviano il lavoro dell’intelligenza artificiale. Intere librerie di prompt efficaci sono ormai a disposizione degli utenti.

Ma la strada maestra per applicare costruttivamente l’intelligenza artificiale è quella di perdere meno tempo inseguendone la versione sperimentale generalista e concentrando l’attenzione sulle versioni specializzate. Il valore dipende dalla qualità dei dati, dagli archivi di informazioni controllate, ripulite dai pregiudizi, provenienti da fonti sicure, registrate in formati standard: su quelle basi, le intelligenze artificiali specialistiche possono offrire servizi affidabili. Nell’educazione, nella finanza, nel controllo dei macchinari industriali, nella simulazione di tecnologie farmaceutiche e nella gestione della mobilità sostenibile, le intelligenze artificiali hanno già un ruolo operativo. E da qui parte la crescita del loro valore reale.

Anche il sistema di regole e il finanziamento pubblico, in Europa, vuole aiutare ad andare in questa direzione. Limitando il potere dei grandi oligopolisti. Contribuendo alla nascita di startup e nuove iniziative che accettino di funzionare in un contesto interoperabile, ad architettura distribuita, con tecnologie trasparenti e comprensibili per la popolazione, che valorizzi i grandi risultati ottenuti dai ricercatori europei e che ne connetta la conoscenza con le imprese tecnologicamente avanzate del continente.


Foto: “Street of San Francisco” by Prayitno / Thank you for (12 millions +) view is licensed under CC BY 2.0.