Articolo pubblicato sul Sole 24 Ore di domenica 21 luglio 2024
Le Big Tech americane hanno conquistato un potere immenso. E poiché qualsiasi potere molto concentrato ha bisogno di contrappesi o finisce per diventare pericoloso, è legittimo domandarsi se dall’Europa possano venire fuori delle alternative capaci di cambiare la struttura del mercato digitale.
Ebbene. Le possibilità dell’economia digitale europea sono probabilmente migliori di quanto appaia ma peggiori di quanto serva. La soluzione del paradosso è sistemica: per alimentare un cambiamento occorre contemporaneamente la convinzione che l’Europa possa farcela e un insieme di fatti che lo dimostrino. Nella migliore delle ipotesi si forma un circolo virtuoso. Se questo non succede, la sfiducia frena i fatti, il che genera sfiducia.
Non è sempre stato così. Nella prima fase della digitalizzazione internettiana la forza degli americani e degli europei era molto più equilibrata. Gli americani erano leader assoluti nell’informatica tradizionale dei personal computer. Ma gli europei controllavano quasi completamente il mercato digitale emergente, quello dei telefoni mobili e delle infrastrutture che servivano a farli funzionare. Del resto, gli americani avevano inventato internet, ma gli europei avevano creato il web. Dopo il 2007, però, con il boom dei social network e degli smartphone, gli europei hanno invece abbandonato la partita: si sono lasciati conquistare senza opporre resistenza dalle tecnologie americane. E oggi non sembrano ricordare quasi per nulla i loro antichi successi. Eppure non sono passati più di quindici anni. La scienza, l’ingegneria, la cononoscenza europea sono ancora fortissime. Ma la leadership nel digitale sembra perduta.
Tutto questo potrebbe cambiare? Alcuni ecosistemi europei, dimostrano importante potenziale. La Francia, l’Olanda, la Svezia, la piccola Estonia, presentano punti di forza significativi. E non si può fare a meno di osservare che la policy europea degli ultimi cinque anni è stata per lo meno coerente e competente. Una serie di decisioni prese può ridurre il potere delle Big Tech e aprire nuove opportunità per le alternative. Il Digital Markets Act e il Digital Services Act limitano l’assoluta irresponsabilità delle grandi piattaforme, rendono possibile l’accesso ai loro dati per gli scienziati e la società civile, proteggono le startup che nativamente sono coerenti con il rispetto dei diritti umani che l’Europa ha sintetizzato nella Carta dei Principi e dei diritti nella decade digitale. Inoltre, l’AI Act ha posto dei limiti all’applicazione indiscriminata dell’intelligenza artificiale e potrebbe favorire nuove interpretazioni della tecnologia di frontiera. Ma Ursula von der Leyen, nel suo discorso programmatico per il secondo mandato ha annunciato l’intenzione di passare dalla policy fondata sulle regole all’azione basata sulle strategie industriali. Anche attraverso la costruzione di una “data union” che possa sostanziare le probabilità di successo di nuove piattaforme europee.
In effetti, la convinzione che queste policy possano raggiungere il successo non può vincere se non si vedono dei risultati imprenditoriali forti. Ma i campioni europei stanno dietro le quinte. La ASML è il leader mondiale nelle macchine che servono alla fotolitografia usata per produrre i chip: i suoi prodotti hanno reso possibile il successo di TSMC, leader dei semiconduttori, a Taiwan, e l’esplosione di Nvidia. La sua capitalizzazione è stabilmente tra le prime tre in Europa, a 360 miliardi di dollari. Supera largamente le altre grandi del digitale più tradizionali: Sap, 231 miliardi, Siemens, 146 miliardi, Deutsche Telekom 131 miliardi. Intanto, tra le startup dell’intelligenza artificale si è fatta notare, la francese Mistral, mentre meno evidente è la tedesca Aleph Alpha. Ma in tutto questo non c’è niente di paragonabile con le mega aziende digitali americane e nemmeno con le startup dell’intelligenza artificiale come OpenAI e Anthropic.
Forse occorre una visione che non si limiti a stare al traino dei fatti ma abbia il coraggio di guidarli. Il che significa ammettere che gli eventuali successi europei arriveranno probabilmente in un “campionato” diverso da quello degli americani. Un esempio per immaginarlo? OpenAi ha ricevuto altre 12 miliardi da Microsoft, ma ne ha spesi quasi altrettanti, si calcola, comprando da Microsoft capacità di elaborazione. E nel frattempo ha ceduto quasi la metà del suo capitale e della sua capacità di definire le proprie strategie. In Europa le startup dell’intelligenza artificiale europee possono utilizzare gratuitamente la capacità di elaborazione della rete di supercalcolatori costruita con una dozzina di miliardi di euro dall’Unione Europea senza perdere la loro indipendenza strategica. Uno dei nodi si trova a Bologna: e il supercalcolatore Leonardo si è già dimostrato essenziale per aiutare le startup europee dalla francese Mistral all’italiana iGenius. Intanto, nella gara per il quantum computer gli europei sono in corsa. E nella robotica industriale sono probabilmente avanti.
Tutto risolto? Niente affatto. Manca la cloud europea. Mancano le dimensioni del venture capital. Manca una narrativa attraente. Ma a ben vedere, forse, l’alternativa è possile.
Foto: “The Night Lights of Europe (as seen from space)” by woodleywonderworks is licensed under CC BY 2.0.