Il rapporto Draghi per l’AI europea incoraggia a passare all’azione

Articolo pubblicato sul Sole 24 Ore il 19 settembre 2024


Un nuovo paradigma si aggira per l’Europa. E il rapporto presentato da Mario Draghi alla Commissione Europea lo descrive in profondità: diversificazione delle fonti di energia, nuove direttrici nelle relazioni commerciali internazionali, avvio di una nuova strategia di difesa. 

Per adattarsi con successo l’Europa ha bisogno, tra l’altro, di cogliere le opportunità offerte dall’innovazione digitale. Serve un intervento politico, il rapporto è pensato per definirlo. Ma non serve troppo interventismo. Il che significa trovare il giusto equilibrio, tra regole, incentivi, visioni, pratiche concrete. Un equlibrio non facile: gli Stati Uniti intervengono troppo poco e si trovano a fronteggiare alcune BigTech ormai definite in tribunale come monopoliste; la Cina interviene troppo e il suo venture capital è crollato in cinque anni di cinquanta volte, secondo IT Juzi. E dunque l’Europa troverà la via giusta per la riscossa?

Non si vede perché non dovrebbe. Vale la pena di ricordare che solo quindici anni fa, l’Europa era era largamente leader mondiale nella tecnologia digitale più importante del tempo, la telefonia mobile. In poco tempo ha perduto quella posizione di vantaggio e sembra averne anche perso la memoria: ma il digitale è veloce e le possibilità di rivincita non mancano. Non rincorrendo i concorrenti sul loro stesso terreno. Ma creando argomenti nuovi per gli investimenti e l’innovazione in una chiave europea. Il rapporto Draghi in effetti suggerisce che per esempio nel cloud computing la partita è forse persa. Ma nell’intelligenza artificiale e nel quantum computing non è detta l’ultima parola. Purché si superino le barriere che sembrano frenare la rincorsa.

L’obiettivo può essere convincente per la politica. Draghi mostra come in effetti sia possibile rilanciare il digitale europeo, investendo in ricerca ed educazione, aumentando la disponibilità di venture capital, favorendo la nascita di start up, e così via. Perché si tratta di tecnologie che non solo costituiscono di per sé un motore di crescita ma abilitano anche l’innovazione in tutti gli altri settori, accelerano la produttività e servono alla sovranità tecnologica, essenziale in un contesto nel quale l’Europa non può più contare sulla difesa americana.

Certo, i punti di debolezza vanno trasformati in punti di forza. Draghi – rinunciando in questo caso all’originalità – non manca di sottolineare che il peso delle regolamentazioni può apparire come un freno all’innovazione, almeno stando alle opinioni che il rapporto sostiene emergano da una parte dell’industria europea, specialmente dalle piccole e medie imprese. Ma è pur vero che insieme alla serie dei regolamenti dedicati ai dati, ai servizi digitali, ai mercati digitali, all’intelligenza artificiale, la Commissione ha portato avanti imporanti policy per lo sviluppo. Gli investimenti nei supercalcolatori europei hanno messo straordinarie risorse di calcolo pubbliche a disposizione delle start up che vogliano addestrare i loro modelli di intelligenza artificiale, gratuitamente, senza costringerle a procurarsi i miliardi che servono in America per accedere ai mega datacenter delle BigTech e quindi senza indurle ad accettare gli obiettivi impliciti nelle logiche della finanza speculativa. Proprio in questi giorni, peraltro, è partito il bando per le AI Factory che dovrebbero servire a costruire i poli di innovazione dell’intelligenza artificiale all’europea.

Certo non è detto che questa strategia riesca. Ma di sicuro nella gara con gli americani, gli europei non possono pensare di vincere facendo le stesse cose che fanno i concorrenti. Le regole europee possono creare un’industria digitale diversa, sostenibile, capace di rispettare i diritti umani. E bisogna ricordare che le regole previste dall’AI Act non valgono per le applicazioni militari dell’intelligenza artificiale. Il che a sua volta è un aspetto migliorabile, se anche nel rapporto Draghi si legge che se l’Europa perde di vista i suoi valori identitari – prosperità, equità, libertà, pace e democrazia in un ambiente sostenibile – «perde la sua ragione di essere». 


Foto: “European Commission” by tiseb is licensed under CC BY 2.0.