Una versione di questo pezzo è uscita sul Sole 24 Ore intorno alla data riportata in calce
Una reazione a catena sembra essersi avviata con l’alleanza di Elon Musk e Donald Trump. L’imprenditore e il nuovo, di nuovo, presidente americano, ancor prima del loro insediamento stanno modificando la geografia politica in modo piuttosto visibile. E il primo dato è che tutti i sistemi che preferiscono accordarsi con i più forti si allineano al “trusk”, il cartello dei due miliardari Trump e Musk, ormai visto come il nuovo establishment. La prova più clamorosa è venuta dal nuovo look politico assunto da Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook e autocrate di Meta, che ha deciso di allineare le politiche dei suoi social network all’ideologia del “trusk”: niente moderazione, massima libertà di espressione, nessuna resposabilità aziendale su quello che gli utenti fanno sulla piattaforma. Sicché i media sociali si sono spostati in un singolo momento a favore di chi usa la rete per lanciare qualsiasi messaggio e sostenere qualsiasi campagna, comprese quelle manipolatorie, violente e falsificatorie. Per la verità, anche il rifiuto venuto da Jeff Bezos, fondatore di Amazon e proprietario del Washington Post, di consentire al suo giornale di dichiarare il suo sostegno all’avversaria di Trump faceva prevedere un cambio di clima mediatico. E in questo contesto non era poi troppo stupefacente l’ipotesi circolata per qualche ora di un possibile acquisto da parte di Musk della divisione ameriana di TikTok, poi smentita dall’azienda cinese. Perché, insomma, una volta avviata la reazione a catena nessuno si aspetta che si fermi in breve tempo: ma per immaginarne le conseguenze, occorre capire se si tratta di fusione o fissione, se gli elementi alla fine convergono o divergono.
In effetti, Musk non va pensato soltanto come un sostenitore del nuovo presidente Trump. Gli interessi e le visioni del mondo dei due protagonisti della politica americana degli ultimi sei mesi si assomigliano, ma non si sovrappongono. Da una parte, certo, il potere di Musk si accresce con l’alleanza di Trump, ma dall’altra è indipendente e, per certi versi, persino contraddittorio.
Chiaramente, il mercato finanziario crede nel “trusk”: investendo 250 milioni sulla campagna elettorale, il patrimonio di Musk è cresciuto di 140 miliardi, secondo i calcoli di Scott Galloway professore della New York University, proprio perché il mercato gli attribuisce un accresciuto potere. Le somiglianze tra i due protagonisti della vicenda sono chiare, per esempio, nella comune predilezione per la decostruzione dello stato, l’abbattimento della spesa pubblica, la riduzione delle tasse, la deregolamentazione, la semplificazione del sistema istituzionale che, in qualche modo, corrisponde alla maggiore autonomia decisionale di chi ha il potere di decidere. Musk ha citato su X l’economista e Nobel Milton Friedman quando descriveva come ridurre all’osso l’apparato pubblico commentando: «Era il migliore».
Le contraddizioni sono peraltro altrettanto evidenti e difficilmente sanabili. Mentre Trump non apprezza le auto elettriche, avendo chiaro in testa che gli conviene sostenere il potere dei petrolieri, Musk governa la Tesla e ha bisogno che la sua idea di mobilità sia sostenuta dall’amministrazione. D’altra parte, Musk possiede un sito produttivo gigantesco in Cina e tiene ottimi rapporti con quel paese, mentre Trump coltiva una relazione di forte competizione con il gigante asiatico. In fin dei conti, poi, Musk è di fatto un immigrato e conosce il valore che gli immigrati portano al mondo dell’innovazione americano, mentre nell’entourage tradizionale di Trump si pensa piuttosto che gli immigrati siano un problema, per usare un understatement.
Un’area grigia del trusk invece riguarda i rapporti con i paesi alleati degli Stati Uniti ma non allineati con la nuova amministrazione. Musk non cessa di attaccare il governo laburista britannico e cerca di far crescere un’alternativa di estrema destra. E non cessa di attaccare il govento guidato da un social-democratico in Germania, sostenendo anche lì il partito di estrema destra. Sembrerebbe una posizione ideologica chiara, senonché quando si tratta di negoziare con il Brasile che chiude X se no segue le regole, Musk non ci mette molto a obbedire. Si vedrà se l’Unione Europea riuscirà a reagire unita nei confronti del trusk o se si lascerà dividere, come di certo tenta di fare il “trusk”: accettando di allinearsi, Zuckerberg ha anche chiesto aiuto al nuovo governo americano per difendersi dalle regole come quelle introdotte dagli europei.
Un’azione anti-trusk dovrebbe evidentemente giocare su queste contraddizioni. Oltre che sul possibile scontro di personalità che molti osservatori si aspettano, studiando le dimensioni dei rispettivi ego. Ma per riuscire, l’anti-trusk dovrà essere portato avanti da entità politiche altrettanto forti e coese.