Velvet è il modello AI generativa di Almawave

Una versione di questo pezzo è uscita sul Sole 24 Ore intorno alla data riportata in calce


Si chiama Velvet il modello fondazionale di intelligenza artificiale generativa fatto interamente da Almawave. Un’azienda italiana con una esperienza di quindici anni nei servizi per la gestione di big data e intelligenza artificiale per l’industria, la sanità, la pubblica amministrazione, l’istruzione, quotata all’Euronext Growth di Milano, si è finanziata l’entrata in gioco nel mercato più innovativo del momento. Per addestrare il modello ha usato il super calcolatore Leonardo del Cineca. Per sostenere la strategia ha ottenuto un finanziamento di 20 milioni da Bnp Paribas. Per sviluppare il prodotto ha contato sui suoi tecnici e la sua esperienza. E, volente o nolente, con una decina di altre aziende del Vecchio Continente, si trova a dover smentire il preconcetto secondo il quale non è possibile competere con le BigTech americane e cinesi partendo dall’Europa.

La settimana dell’annuncio di Almawave non poteva essere più battagliera. In America, l’escalation degli investimenti miliardari per l’AI è arrivato al culmine con l’annuncio di Stargate: un investimento tra i 100 e i 500 miliardi di dollari, voluto da OpenAI, Oracle, SoftBank, Mgx, per costruire un’infrastruttura gigantesca sulla quale sviluppare il futuro dell’intelligenza artificiale. Dalla Cina è arrivata la risposta di DeepSeek: un modello di intelligenza artificiale generativa arrivato a una qualità paragonabile a quella delle più avanzate tecnologie americane ma con una frazione dell’investimento. Secondo qualcuno DeepSeek ha usato il modello di OpenAI per addestrare il suo. Ma un paper uscito da Google aveva anticipato il fenomeno: i grandi modelli non si possono difendere facilmente dalla concorrenza. La notizia ha sgonfiato i muscoli degli americani e le valutazioni dei titoli delle loro aziende. E, indirettamente, ha riaperto i giochi anche per i modelli europei.

Il punto è che gli europei possono avere un ruolo nella grande trasformazione alimentata dall’intelligenza artificiale, ma non inseguendo i gli americani. «Velvet è un modello che consuma poca energia, richiede investimenti contenuti, è compatibile con le regole europee ed è fatto per risolvere problemi chiari», spiega Valeria Sandei, ceo di Almawave. «Il nostro modello è leggero e non richiede la capacità computazionale dei modelli americani. Ha le funzionalità che servono ai nostri clienti. Ed è costruito su dati che conosciamo, che abbiamo ripulito e che possiamo gestire. Non pensiamo alle regole europee come a un freno per l’innovazione. Crediamo che descrivano il tipo di società che vogliamo costruire». 

Come spiega il cto Raniero Romagnoli, Velvet non fa qualsiasi cosa, per ora. Non scrive codice. Non disegna immagini. Non gestisce algoritmi per la scienza. Ma fa bene quello che serve alle organizzazioni clienti: interpreta grandi insiemi di testi, riassume, ragiona, scrive, ricerca, conversa. Come modello fondazionale può essere puntato a domini di conoscenza precisi e dare vita ad applicazioni settoriali. Può generare conoscenza con dati che non escono dai sistemi delle organizzazioni clienti. Può integrarsi con altre tecnologie industriali, come la manutenzione predittiva e la gestione intelligente delle risorse energetiche, per interrogare i dati in linguaggio naturale o produrre rapporti sul funzionamento dei sistemi.

«Per noi Velvet serve allo scopo per il quale è progettato. Con vantaggi reali e misurabili» dice Sandei. Le regole europee stimolano l’innovazione. «Altri modelli si addestrano su un impasto di dati che poi è difficile da sciogliere. Con Velvet, se qualcuno vuole fare opt out, come previsto dalle norme sulla privacy, può farlo. Noi eliminiamo i dati senza dover riaddestrare il modello». Le specificità non finiscono qui.«Abbiamo addestrato il modello dando maggiore peso a lingue europee – e africane – e meno all’inglese, per equilibrare il prodotto dal punto di vista culturale». E tutto questo avviene in un momento in cui parte l’AI Factory di Bologna, un nuovo grande motivo di credibilità dell’ecosistema italiano.