Una versione di questo pezzo è uscita sul Sole 24 Ore intorno alla data riportata in calce
Chi segua analiticamente le esternazioni del presidente americano Donald Trump può forse vederle come un incontrollabile flusso di opinioni. Si può essere tentati di interpretarle come frutto di una persona autentica che si esprime con grande spontaneità, visto il linguaggio che il presidente usa, fatto di parole semplici e giudizi netti: quello che fanno gli avversari è quasi sempre «molto cattivo» e quello che realizzano gli amici è ovviamente «bellissimo». Un’ottantina di paper scientifici recenti se ne occupano e la ricerca è in pieno svolgimento. Ma limitarsi a questo sarebbe riduttivo.
In effetti, c’è del metodo in quella apparente follia. E naturalmente ci si può trovare lo zampino di qualcuno che aiuta il presidente a decidere che cosa dire utilizzando l’intelligenza artificiale. Unendo i puntini e qualche informazione si possono riconoscere in effetti i tratti di una strategia di comunicazione organizzata in tre punti.
Il primo capitolo di quella strategia è la massimizzazione dell’effetto delle dichiarazioni da ottenere utilizzando un insieme di strumenti che aiutino nella scelta degli argomenti da sollevare, dei tempi per pubblicare e dei target ai quali rivolgere i messaggi. Gli strumenti disponibili per questo genere di operazioni sono numerosi. Si possono citare Sprout, Hootsuite, Planly e molti altri. Sicuramente incrociando modelli a base di intelligenza artificiale si possono ottenere risultati molto importanti. Per esempio X, la piattaforma social di Elon Musk, ha sviluppato Radar, uno strumento in grado di riconoscere gli argomenti più importanti in ogni momento della giornata, differenziando per tipo di audience, analizzando una grandissima quantità di dati. Radar è a disposizione delle aziende che intendano pagarla. Di certo, Trump, anche grazie appunto all’appoggio di Musk, può godere delle migliori informazioni possibili per massimizzare il traffico e l’efficacia dei messaggi da esternare.
Un secondo capitolo del metodo col quale Trump sceglie che cosa dire è certamente l’analisi delle reazioni del pubblico alle sue esternazioni. È del tutto evidente che nella quantità di cose che il presidente dice, alcune vengono ribadite in continuazione altre abbandonate. Questo non è solo una naturale volubilità umana. È anche frutto dell’analisi: se il pubblico si appassiona a un argomento vale la pena di insistere. Se una questione non interessa, si può tralasciare.
Un terzo capitolo è stato spiegato da Steve Bannon, ex stratega di Trump, uscito dalle grazie del presidente, ma comunque da lui recentemente graziato da alcuni dei suoi guai giudiziari. La sua influenza intellettuale non è certo scemata del tutto. Bannon sosteneva che Trump deve dire ogni giorno molte cose, decidere su diversi argomenti: se Trump riesce ad avere ogni giorno almeno tre novità da proporre all’attenzione dell’elettorato, dei giornali e degli avversari politici, vincerà. Perché, sostiene Bannon, i Democratici e i giornali non riescono ad approfondire che un argomento alla volta. E dunque la quantità di novità renderà difficile per i critici bloccare l’azione del presidente.
Probabilmente Musk la pensa in modo simile. Lo ha dimostrato durante la campagna elettorale. Sui social aveva potenzialmente avversari importantissimi, come Taylor Swift e le altre star del cinema e della musica che avevano deciso di appoggiare la candidata democratica Kamala Harris. Le centinaia di milioni di seguaci di Musk non erano certo di più della somma dei seguaci di quei personaggi amatissimi dal pubblico americano. Eppure, con tutta evidenza, Musk ha influito di più: ha scritto almeno cento post al giorno per la campagna e duecento l’ultimo giorno. Nella quantità non ha incontrato opposizione e ha spinto l’attenzione del pubblico nella direzione voluta.
Ma resta una domanda. Se Musk è tanto avanti nella competenza e nella strumentazione necessaria a conoscere che cosa conviene dire per massimizzare l’effetto politico delle esternazioni, riuscirà a consigliare il presidente con tanta efficacia da convincerlo a dire quello che ritiene più giusto? Si può immaginare che l’imprenditore possa conquistare un’influenza sproporzionata sul discorso del presidente, guidandone le esternazioni? Molti, in effetti, si domandano chi tra i due sia il burattinaio. E la domanda resta aperta, come i sospetti che la risposta sia la meno ovvia.